A Milano 3.000 bambini rischiano di non accedere al nuovo anno scolastico. Il caso non è che la punta dell'iceberg. Ecco quanto il Coronavirus ha fatto male alle donne.
A Milano 3.000 bambini rischiano di non accedere al nuovo anno scolastico. Il caso non è che la punta dell'iceberg. Ecco quanto il Coronavirus ha fatto male alle donne.Durante l'emergenza Coronavirus mamme e papà si sono ritrovati a destreggiarsi tra smart working e una cascata di compiti a casa. La didattica a distanza è stata onnipresente nella vita delle famiglie. La fine del lockdown ha coinciso con un lento ritorno verso l'esterno. Tutti hanno messo il naso fuori di casa. Sono stati dettati dei tempi per tornare a una pseudo-normalità. E' stata messa a punto una tabella di marcia per tutti, tranne che per la scuola.
Ora arriva la notizia che a Milano 3.000 bambini già ammessi alle graduatorie provvisorie di nidi e scuole dell'infanzia saranno esclusi a causa della carenza di posti nelle strutture pubbliche. Un fatto che mette in evidenza come la scuola sia stata la vera realtà lasciata fuori dal discorso delle istituzioni che, ancora una volta nella storia, fanno affidamento all'unico ammortizzatore sociale sempre disponibili: le madri.
Il caso di Milano
Nonostante abbiano pieno diritto a frequentare nidi e asili comunali, a Milano sono 3.000 i bambini che a settembre rischiano di restare a casa. Lo ha comunicato su Facebook la consigliera PD Alice Arienta. Al momento i posti disponibili ammontano a 27.000, ma a causa delle norme anti Covid imposte dal Governo in 3.000 rischiano di rimanere a casa.
«Le linee guida post covid sia nazionali (troppo generiche) che regionali non sono arrivate e non permettono di organizzare le attività come prima con le medesime condizioni – si legge nel post di Arienta – abbiamo preferito partire subito con prudenza nell'attesa di maggiori specifiche normative e valutazioni epidemiologiche». L'obiettivo del Comune resta trovare soluzioni concrete e far sì che gli esclusi rientrino nelle scuole.
I genitori hanno fatto sentire la loro voce via social, denunciando la ricaduta sulle famiglie di tutta la situazione. «Tutto ciò non è all'altezza dell'amministrazione comunale di Milano. Tu dentro e tu fuori, questo è stato fatto dal Comune di Milano - denuncia Daniela Farnese su Facebook - senza trasparenza sulle graduatorie, sui numeri di ogni istituto, senza avvisare noi famiglie preventivamente e nel dettaglio, lasciandoci una intera giornata ad aggiornare la casella di posta in maniera ossessiva e umiliante per vedere se eravamo stati presi».
Scuola, un "non tema"
Nel suo sfogo, Daniela tocca il nodo centrale dell'intera questione. «Perché la scuola non è un tema, è una seccatura. Prima bisogna parlare dei bar, delle immobiliari, delle piste ciclabili, dei parcheggi. Poi, quando ormai l’orologio segna il fuori tempo massimo, ah, sì, mannaggia! abbiamo anche quella rogna della scuola».
Il caso Milano è solo l'ultimo segnale in ordine di tempo di un generale disinteresse delle istituzioni nei confronti della formazione dei piccoli italiani, dei cittadini di domani. Ma, soprattutto, della vita dei genitori e delle donne, le prime sulle cui spalle ricade il peso di questa inefficienza. «Tra una pandemia ormai diventata endemica e il totale rifiuto di investire nella scuola e nei bambini, io so perfettamente qual è la catastrofe peggiore, e per quella non si troverà presto un vaccino in questo Paese», continua Daniela. La catastrofe peggiore è il numero di donne "fatte fuori" dal mondo del lavoro per la necessità di lasciare qualcuno a casa, che badi ai bambini.
Quanto costa al Paese la "ritirata" delle donne
Dall'inizio della pandemia sembra che la questione scolastica sia di secondaria importanza. Ma non lo è. La chiusura delle scuole e il lasciare i bambini a casa a tempo indefinito ha attivato l'ammortizzatore sociale per eccellenza, gratuito e necessariamente disponibile: le donne. È a loro che è stata addossata la responsabilità di reggere l'equilibrio della famiglia, lasciando così gli uomini liberi di tornare in ufficio. Non sia mai detto che si rimanga a "poltrire" a casa, in smart working!
Nonostante gli impegni dell'esecutivo verso i lavoratori, l'Istat ha reso noto che tra marzo e aprile oltre 270.000 lavoratori hanno perso il proprio posto. Il numero salirà ancora e le più colpite saranno le donne. Secondo i dati sono oltre 300.000 le donne uscite dal mercato del lavoro, quasi il doppio rispetto agli uomini. Perché va bene, ci siamo "divertiti" con lo smart working, ma ora bisogna uscire di casa. E se ci sono i bambini? Eh, cocca, ti tocca rimanere a casa. L'idea secondo la quale la cura parentale ricade interamente in carico alla donna è troppo difficile da sradicare dalla cultura italiana. Così, tra i sintomi del Covid, si può aggiungere quello più a lungo termine: può trasformare le mamme lavoratrici in casalinghe.
Eppur si muove
In 20 Paesi del mondo le scuole hanno riaperto da giugno. A Taiwan, Nicaragua e Svezia non hanno mai chiuso. Secondo uno studio condotto dalla rivista Science i bambini più piccoli raramente contraggono l'infezione o si contagiano l'un l'altro. Ancora più raro è che portino il virus a casa. Secondo l'infettivologo pediatra finlandese Otto Helve «Tutti quelli che hanno riaperto, hanno potuto constatare che i benefici sono molto maggiori dei rischi».
Durante l'emergenza Coronavirus Milano ha dimostrato di fare un po' stato a sè. Dopo diversi incontri tra il sindaco Giuseppe Sala, i sindacati, le assessore Cristina Tajani e Laura Galimberti, sono stati definiti gli obiettivi a cui riparare per tamponare l'emergenza. Occorreranno 100 nuove assunzioni di insegnanti entro settembre, pianto per dotazione di dpi e screening sierologici, individuazione di spazi alternativi agli edifici preesistenti. Governo e Regione sono chiamati a dare maggiore chiarezza sulle linee guida per la riapertura dei servizi. Si spera solo che non sia solo un'altra occasione per cantare i famosi versi di Morgan a Sanremo: «Le buone intenzioni, l'educazione...».