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Vita da Mamma: la rubrica di Federica Federico

Mamme Tips
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Come aiutare un bambino che non parla

Come stimolare e sbloccare un bambino che non parla, attività di gioco e influenza dell’ambiente sullo sviluppo del linguaggio. Cosa possiamo fare noi mamme e cosa, invece, nessun adulto dovrebbe fare per spingere il bambino a parlare.

Come stimolare e sbloccare un bambino che non parla, attività di gioco e influenza dell’ambiente sullo sviluppo del linguaggio. Cosa possiamo fare noi mamme e cosa, invece, nessun adulto dovrebbe fare per spingere il bambino a parlare.

Fino ad una certa età (18-24 mesi circa) un bambino che non parla in modo “disinvolto” o facilmente comprensibile, ovviamente in relazione alla media della sua età anagrafica, non è sempre e non è necessariamente un bambino con problemi di linguaggio. Ogni bambino ha infatti i suoi tempi e, in questa specifica fase, hanno un peso prevalente i segnali precursori del linguaggio. Approfondiamo l'argomento

I segnali precursori del linguaggio umano

Già a partire dai primi mesi di vita (dai 3 ai 6 mesi circa), emettendo dei suoni inconsapevoli e non strutturati, i bambini dimostrano la loro naturale propensione al linguaggio, che qui va inteso come comunicazione universale.   Il bambino avverte, mette alla prova e sperimenta il proprio “rumore”, ovvero la personale capacità di emetterne. 

La lallazione

I suoni che il bimbo produce sono  quindi i precursori più lontani della prima parolina. Pur attirando l’attenzione degli adulti ad ogni vocalizzo, il bambino non ha ancora alcuna consapevolezza comunicativa e solo intorno ai 6 mesi darà alla riproduzione del suono una prima struttura. Con la lallazione, infatti, metterà insieme coppie di vocali e di consonanti (mamama, papapa, lalala) che ancora non sono parole capaci di associare suono e senso come lo sono mamma o papà o pappa). 

In questa fase "premonitrice" della parola si riconosce il cammino del bambino verso il linguaggio ed è proprio in questo momento che gli adulti possono svolgere un’importante funzione di stimolo: più i suoni sono vari e differenti più il piccolo acquisirà abilità nell’uso dei fisiologici strumenti deputati alla parola: bocca, lingua e corde vocali. Parlare, infatti, è anche una questione “di tecnica, di esperienza e di coordinazione”, nonché di acquisizione di regole. Questo linguaggio sperimentale, divertente e ripetitivo, alla stessa stregua dei primissimi vocalizzi, manca ancora di consapevolezza.

I gesti deittici

A 6 mesi il bambino, che sia in una condizione di sviluppo fisiologico, incomincia a esprimere interesse verso il mondo, lo fa anche col corpo: con la gestualità, gradatamente e con i suoi tempi, con una più riconoscibile e manifesta mimica del volto e anche col cosiddetto gesto deittico, ovvero puntando l’indice verso ciò che attira la sua attenzione.

Indicare è una forma di comunicazione e di relazione con l’ambiente, a buon diritto può rientrare tra i segnali identificativi di un fisiologico processo di sviluppo comunicativo del bambino, processo che in un futuro prossimo evolverà anche nelle competenze linguistiche.

Pertanto un bambino di 6 mesi (o poco più) che lalla, che con la voce manifesta emozioni, che indica le cose di suo interesse, che parla con le espressioni del volto è un bimbo che sta naturalmente progredendo verso la parola. 

Bambino che indica

Foto: dml5050 - 123RF

Quando un bambino inizia parlare?

La prima parolina consapevole arriva, in genere, intorno ai 12 mesi. Il “mamama” della lallazione diventa mamma: il suono si è affinato in tecnica ed esperienza ed è completa l’associazione tra la mamma e il suo nome verbalmente espresso. Ugualmente “papapa” diventa papà o pappa. Tra i 12 e i 18 mesi le prime paroline vengono adoperate con piena intenzionalità comunicativa, ciò anche se un’unica parola esprime un vasto insieme di concetti: i medici e i logopedisti la chiamano “parola frase”.

La “parola frase” e i gesti simbolici

Si tratta di un unica parola pronunciata dal bambino per esprimere un universo di possibilità. Per esempio, il bimbo dirà papà per significare che il papà è tornato dal lavoro o anche per dire che sta giocando col papà o, a seconda delle circostanze, per constatare che il papà è uscito.

I gesti simbolici si ampliano, in tal senso il corpo del bimbo di un anno o un anno e mezzo fa da supporto al linguaggio.  Le più moderne sperimentazioni neuro-scientifiche parlano di metafora corporea per indicare il fatto che il gesto e la fisicità trainano o perfezionano o suppliscono la parola. Anche fare sì o no con la testa è un sintomo di funzionale sviluppo del linguaggio. 

L'ampliamento del vocabolario

Solo tra i 18 e i 24 mesi il bambino sarà in grado di combinare più paroline tra loro, è questa la fase di cosiddetta “esplosione del vocabolario infantile”.  A 2 anni il bambino dispone mediamente di un vocabolario di circa 50 parole, la sua pronuncia non è sempre perfetta perché appena all’inizio della costruzione delle prime frasi semplici. Pertanto conta più la capacità associativa parola - oggetto - gesto che non la perfezione tecnico-linguistica.

In questa fase il bambino segue gli oggetti che si muovono nel suo campo visivo, li raggiunge camminando, li rincorre se sono in movimento e riesce, anche col corpo, a richiamare l’attenzione dell’adulto in un interesse o in un gioco complice.

Quanto incide l’ambiente sul bambino che non parla

L’ambiente incide fortemente sulla predisposizione innata al linguaggio: basti pensare che i legami principali del bambino (compreso quello con la mamma), si fondano sulla comunicazione e si realizzano in modo condizionato dal contesto.

Più è pacifico l’ambiente domestico meno traumatico sarà l’adattamento del neonato alla vita extra-uterina.  In tal senso, una casa silenziosa, degli adulti che non stimolano i primi vocalizzi e la lallazione del neonato, pochi stimoli visivi, scarse interazioni affettive sono pregiudizi allo sviluppo, anche allo sviluppo linguistico.

In altre parole, per comunicare il bambino deve rispondere a degli stimoli e incontrare qualcuno o qualcosa a cui destinare l’impulso comunicativo. Il linguaggio parte dal corpo, si relaziona all’ambiente e si intreccia con uno sviluppo progressivo e multisensoriale.

Come sbloccare un bambino che non parla: cosa fare

Nella fascia d’età 12-18 mesi o 18-24 mesi, in assenza di limiti fisiologici o correlati problemi neuro-biologici, per sbloccare un bambino che non parla è raccomandabile:

  • Parlare molto al piccolo e senza mai storpiare le parole, ma scandendole bene, cosa, peraltro, sempre consigliabile sin da quando i bimbi sono piccolissimi;
  • Ripetere spesso le parole usando la voce (accenti e toni) per sottolinearle;
  • Giocare tanto col bambino e usare il gioco come palestra di parole, ovvero denominare oggetti e luoghi, verbalizzare con costanza ciò che avviene durante le sessioni di gioco. Per esempio: “Cuciniamo, ci serve la pentola, dammi una pentola. Beviamo, ci serve un bicchiere, eccoti il tuo bicchiere, cosa si mette nel bicchiere? L’acqua! Metti l’acqua nel tuo bicchiere”, etc. (Solo per portare pochi esempi). 
  • Durante il gioco, e non solo, è consigliabile usare una mimica evidente per sottolineare le funzioni degli oggetti, questo concorre alla stimolazione multisensoriale in cui si radica lo sviluppo linguistico.
  • Leggere tantissimo preferendo libri con figure grandi e semplici che siano chiare e facilmente identificabili.

Cosa non fare

Non esponete troppo i bambini a Tv, tablet e schermi elettronici; i cartoni animati  (i video YouTube, le canzoncine animate, eccetera) per quanto catalizzino l’attenzione del bambino non sono fatti perché i piccoli imparino a parlare. Considerate che in essi manca il labiale! I bambini hanno bisogno di cogliere il labiale, ovvero il movimento delle labbra e della lingua, per carpire il come si usano quegli studenti del linguaggio (bocca e lingua) di cui abbiamo parlato poc’anzi. 

Stimolare il bambino ad esprimersi al meglio è un conto, dirgli: “Hai sbagliato”, “Parli male” o comunque sminuire i suoi sforzi comunicativi è, invece, una cosa molto diversa.  
Quello che l’adulto di riferimento può fare è, al contrario, ripetere a propria volta le parole con sistematicità e chiarezza mettendo il bambino in condizione di sentire e risentire i suoni, ripetendoli solo se vuole e quando si sente pronto a farlo. Mai obbligarlo alla ripetizione, quest’ultima se non è spontanea non è nemmeno appagante e soddisfacente.

A che età bisogna preoccuparsi se il bambino non parla

Il linguaggio del bambino deve essere tale da garantire la capacità comunicativa già intorno ai 3 anni, tra i 3 e i 4 anni il cucciolo d’uomo deve poter esprimere intenzioni, idee, aspettative, sentimenti in modo soddisfacente e comprensibile, anche se sempre misurato alla sua età.
 
È molto importante che eventuali deficit linguistici si colmino prima dell’ingresso alla scuola elementare. Pertanto, seguendo anche i consigli delle maestre della scuola dell’infanzia, è bene consultare uno specialista e chiedere consiglio al pediatra di fiducia laddove si evidenzino limiti comunicativi persistenti ancora tra i 3 e i 4 anni.

Foto apertura: gewoldi - 123RF