La coppia ha intrapreso il cammino dell'adozione nazionale. Ora stanno per dare il proprio cognome al piccolo Gabriele e dicono: «Tutti gli aspiranti genitori dovrebbero fare questo percorso»
La coppia ha intrapreso il cammino dell'adozione nazionale. Ora stanno per dare il proprio cognome al piccolo Gabriele e dicono: «Tutti gli aspiranti genitori dovrebbero fare questo percorso»Nessuno ha detto a Mauro e Marzia che non possono avere figli. Semplicemente, non sono arrivati. Lui, 36 anni, dipendente di una società della Regione Lazio. Lei, 39 anni, educatrice in un asilo nido. Sposati dal 2013, entrambi si sono trovati in sintonia sull'idea di non accanirsi con la fecondazione assistita e di incamminarsi per incontrare un altro figlio, frutto di un procedimento diverso e ancora più impegnativo per alcuni: l'adozione. E non quella internazionale – che costa e spesso ti mette davanti ad aspetti poco etici del processo, legati a persone che cercano solo il proprio tornaconto personale – ma quella nazionale.
Il rischio giuridico, quella cosa per cui la famiglia d'origine del bambino può reclamare il piccolo in qualsiasi momento, non li ha spaventati. Ora il piccolo Gabriele, che ha 18 mesi, sta per prendere il loro cognome e loro dicono a tutti, anche a chi vuole avere figli naturalmente, di provare il percorso dell'adozione, il confronto con psicologi e assistenti sociali, perché c'è tanto da imparare, soprattutto su se stessi.
Come siete arrivati alla decisione di adottare Gabriele?
Mauro: Abbiamo avuto difficoltà nella procreazione naturale, ma non per una ragione specifica. Abbiamo deciso di non accanirci, anche perché sono processi molto pesanti per il corpo femminile. Eravamo in sintonia sull'adozione, che per noi non è stata un'ultima spiaggia, e sin da subito abbiamo scelto il percorso solo nazionale.
Come mai? Solitamente si preferisce non rischiare di vedersi tolto il bambino...
Conosciamo altre famiglie che avevano affrontato il percorso dell'adozione a livello nazionale: confrontarci con loro ci ha messo tranquilli. In più, conoscendo le difficoltà legate all'adozione internazionale a livello economico ed etico, abbiamo optato per un bambino nato in Italia.
Qual è stato il primo passo?
Le famiglie che vogliono affrontare l'adozione devono sottoporsi a due giornate di formazione sull'intero processo, guidate da una psicologa e da un'assistente sociale. Siamo arrivati pronti, con informazioni certe avute da altre famiglie, ma anche con tanti luoghi comuni. Gli incontri servono per comprendere il percorso burocratico e le situazioni a cui si va incontro, come il dover accettare che il bambino ha una storia a monte, anche sanitaria, e che esiste il rischio giuridico, quindi la possibilità che la famiglia d'origine reclami il bambino. Si offre una panoramica completa per arrivare con lucidità al passaggio in tribunale.
Cosa succede dopo gli incontri?
Al termine della seconda giornata, viene rilasciato un certificato che va presentato in tribunale assieme alla domanda di adozione e alla dichiarazione dei parenti della coppia, che si dichiarano disponibili ad accettare un nipotino non biologico.
Cos'hanno detto i vostri genitori?
Le nostre mamme erano entusiaste!
Cos'altro viene chiesto per istruire la pratica?
Non si può chiedere se avere un maschio o una femmina e nel questionario a cui si deve rispondere, viene chiesto se si è disposti a prendersi cura di casi sanitari irreversibili o reversibili, e in quale fascia d'età si è disposti ad adottare.
Una volta avviata la pratica, segue l'attesa: come avete vissuto quei mesi?
Ci sono stati due momenti. Il primo era legato all'inizio dell'indagine psicosociale. Dopo aver fatto le analisi e i test fisici, abbiamo atteso che la psicologa e l'assistente sociale della Asl ci chiamassero per il primo incontro. È passato un anno. Ci siamo preoccupati e ci siamo chiesti se avremmo avuto il tempo per concludere tutto il percorso. Poi, la telefonata. Siamo stati fortunati.
Perché?
Il problema più grande non è tanto l'orologio biologico, ma il fatto che la domanda dura tre anni e noi abbiamo “perso” un anno senza poter fare nulla.
Com'è andata con il team di valutazione?
Altre coppie ci hanno raccontato che l'esame viene fatto collettivamente, mentre a noi è stato fatto singolarmente: i primissimo insieme, poi ci hanno diviso e abbiamo visto prima la psicologa e poi l'assistente sociale. Poi c'è stata la visita domiciliare per valutare gli spazi che avevamo a disposizione. Infine, il giudice ci ha convocato per un ultimo incontro in cui ha letto la relazione delle esperte, ci ha fatto un po' di domande, ha ripercorso le risposte legate a malattie, età e rischio giuridico. C'è stata anche una domanda “insidiosa”...
Quale?
Viene chiesto se si è disposti ad accettare un bambino di etnia diversa da quella dei genitori. Anche se l'adozione è nazionale può capitare anche un bambino rom o straniero. Il fatto è che il focus è cambiato.
Cioè?
Marzia: In passato era la coppia, in cerca di un modo per dare continuità alla propria famiglia, al centro del processo. Oggi è il bambino ad essere al centro di tutto. I giudici devono trovare la famiglia che corrisponda alle necessità del soggetto da adottare e non il contrario. Quindi vieni scelto in base alle caratteristiche del bambino e se si mettono troppi paletti è difficile trovarlo. Molti lo vogliono piccolo, non accettano i rischi sanitari e perdono solo tempo.
Quando avete saputo che avreste incontrato Gabriele?
Mauro: Dopo quattro mesi, quell'attesa è stata un po' diversa. Eravamo sorpresi che la chiamata fosse arrivata così presto. Il giudice ci ha parlato di Gabriele, di quello che si sapeva di lui. Abbiamo incontrato il suo tutore legale e cinque giorni dopo – i cinque giorni più lunghi della nostra vita – abbiamo incontrato Gabriele: questo microbo piccolissimo, con tutti i capelli neri sparati in alto, ci aspettava in carrozzina, in ospedale. Abbiamo parlato con chi c'era lì, l'assistente sociale e dei medici. 5 giorni dopo il colloquio con il giudice.
Cosa è successo in quei cinque giorni?
Abbiamo organizzato tutto in poco tempo. Un grande aiuto è arrivato dai genitori dell'asilo dove lavora Marzia, che ci hanno aiutato donandoci tante cose e aiutandoci ad essere preparati.
Per crescere un bambino ci vuole un villaggio, ma è vero che avere figli costa tanto?
Marzia: No, basta seguire le offerte di pannolini e di latte in polvere!
Dopo l'incontro siete tornati a casa tutti e tre: cosa è successo?
Marzia: La prima cosa che abbiamo fatto una volta in macchina è stato allattarlo. Io con i bambini ci lavoro e sapevo, ma certe volte ti trovi ad affrontare tutto da solo. Poi ce lo siamo spupazzato un po'. Abbiamo invitato a casa un'amica ostetrica, che ci ha aiutato a fargli il primo bagnetto e a familiarizzare con le fasce per il baby wearing. Ho ceduto la prima volta a Mauro primo perché avevo bisogno di vedere come si fa la legatura e poi per fargli il regalo di questa emozione.
Mauro: E lui ha dormito 9 ore appoggiato al mio petto!
Marzia: Di solito le mamme tengono per sé il bambino appena arrivate in casa per compensare la mancanza vissuta attraverso la mancata maternità. Io l'avevo metabolizzato. Ho fatto una tesi sull'adozione e durante i colloqui con la psicologa è emerso il fatto che avevo chiuso un capitolo e ne avevo aperto un altro, quello che mi ha portato a incontrare Gabriele.
Cosa succede quando si vive questo passo come una compensazione?
Gli psicologi analizzano spesso questo aspetto: il rischio è di far vivere al bambino la vita di qualcuno che non c'è. Per questo motivo si chiede di non proseguire le pratiche di fecondazione quando si percorre la strada dell'adozione. Bisogna invece essere pronti a capire che non è un “ripiego”: quando hai un figlio, che sia naturale o adottato, è tuo figlio. Prende le tue sembianze.
Ora state per dare il vostro cognome a un bambino: che sensazioni state vivendo?
Mauro: Siamo tranquilli. Per noi è sempre stato “nostro”. A livello pratico, il cambiamento più importante sarà non passare più per un tutore per autorizzare il vaccino o la visita oculistica. Gabriele è un bimbo con bisogni speciali: ha delle problematiche, che conoscevamo, e fa psicomotricità. Eliminare la figura del tutore, ci dà maggiore naturalezza. Ma non avevamo bisogno di mettere un timbro su di lui.
Gabriele ha 18 mesi: cosa vi “comunica”?
Mariza: Già da piccolissimo aveva un linguaggio non verbale molto sviluppato. Non parla a parole, ma con le sue espressioni si fa capire benissimo.
Quando gli direte che è stato adottato?
Mauro: La legge dice che bisogna farlo a prescindere e noi gliene parleremo da subito.
Cosa consigliereste a chi sta scegliendo l'adozione?
Di pancia, direi di iniziare il percorso perché, anche senza l'abbinamento, ci si arricchisce. Si lavora su cose incompiute della propria vita, che non si mai il tempo di affrontare. Andrebbe fatto anche se si vuole diventare genitori naturali. Alla base del percorso di adozione ci devono essere valutazioni seri: non è una compensazione per un bambino non nato perché questo bambino ha già una sua storia.
Foto apertura: Evgeny Atamanenko - 123.rf