Le culle sempre più vuote ci impongono una riflessione: è una questione di soldi o le coppie hanno deciso di rinunciare alla famiglia perché diventata un "peso" insostenibile?
Le culle sempre più vuote ci impongono una riflessione: è una questione di soldi o le coppie hanno deciso di rinunciare alla famiglia perché diventata un "peso" insostenibile?Non c’è bisogno di essere economisti o demografi per accorgersi che l’Italia, pian piano, sta smettendo di fare figli. Lo vediamo nei numeri (drammatici, ma purtroppo veri): i tassi di natalità sono bassissimi e ogni anno che passa nascono meno bambini. Secondo i dati Istat le nascite sono passate da 420.084 del 2019 a circa 380mila del 2023. Nel 2024 siamo scesi ancora a circa 370mila. Il tasso di fecondità è attualmente di appena 1,18 figli per donna. Gli asili, merce rara per chi i figli li ha fatti, sono sempre meno. I parchi giochi sono (poche) micro isole silenziose in distese di cemento. In questo scenario aleggia il sospetto sempre più forte che un’intera generazione stia rimandando – o rinunciando completamente – all’idea di diventare genitori.
Eppure, ogni tanto, arriva il solito annuncio di "bonus bebè" e altre strategie economiche che promettono di invertire questa tendenza. Ma la domanda è: servono davvero degli assegni statali per spingere le coppie a fare figli? O forse il problema è più profondo? Forse per l’Italia è il momento di affrontare il tema della natalità non come un'emergenza, ma come una vera opportunità per ripensarsi.
Natalità in Italia: un problema che va ben oltre i soldi
Partiamo dai fattori economici. Non è un segreto che mettere al mondo un figlio in Italia sia economicamente impegnativo. Nel quinto rapporto "Osservatorio Nazionale Federconsumatori" mantenere un figlio da 0 a 18 anni ha un costo medio di 175.642,72 euro.
Con un reddito di oltre 70.000 l’importo aumenta a 321.617,36 euro. Tra pannolini, latte artificiale, passeggini e nidi, poi, l'investimento iniziale può scoraggiare anche la più ottimista delle coppie. E sì, i bonus ci sono, ma siamo sinceri: sono come una goccia nel mare di spese che ogni famiglia si trova a dover sostenere.
Non basta un assegno occasionale per convincere qualcuno a diventare genitore. È necessario un intervento più strutturale. Perché alla base della crisi della natalità ci sono in realtà tanti fattori concatenati: la precarietà lavorativa, i costi esorbitanti della casa, i servizi carenti e – soprattutto – un modello di società che sembra aver smesso di valorizzare la famiglia.
Vogliamo figli, ma vogliamo anche vivere
C'è un nodo della questione spesso sottovalutato. Gli italiani rinunciano a far figli perché spesso non riescono a far quadrare il cerchio tra il desiderio di famiglia e una realtà che li metterebbe in continua sofferenza. Diventare genitori oggi non è solo una scelta di cuore, ma implica calcoli infiniti e rischi altissimi.
Con una partita Iva - il regime fiscale più diffuso tra i lavoratori italiani - come si può pensare di pianificare una gravidanza? Se i servizi per l’infanzia sono insufficienti o troppo cari, chi si occupa del bambino mentre si lavora?
Per le donne, poi, la maternità può diventare una vera e propria roulette russa: tra il rischio di perdere il posto e la mancanza di un reale supporto, anche all'interno della coppia stessa, spesso sono costrette a scegliere tra carriera e famiglia. E indovina un po’ qual è la scelta che molte di loro si sentono obbligate a fare?
Il problema, insomma, non sono solo i soldi. È l’idea che mettere al mondo un figlio per una donna significhi, inevitabilmente, sacrificare una parte di sé. E questo sacrificio pesa, soprattutto in un mondo che ci invita, costantemente, a "essere tutto" e "fare tutto".
Bonus o rivoluzione culturale?
A questo punto la risposta sembra chiara. I bonus servono, è vero, ma forse a dover essere incentivata è la creazione di un modello di società che renda più semplice e naturale diventare genitori. E questo non accade con un’assegnazione di fondi, ma con un ripensamento profondo di cosa significhi mettere al mondo un figlio oggi. I settori da riscrivere sono tanti.
Innanzitutto, dovremmo rispolverare il concetto di flessibilità che tanto ci è stato decantato durante il Covid, per poi sottrarlo nuovamente in occasione del "back to normal". Perché il lavoro non dovrebbe essere un ostacolo alla famiglia. Part-time, smart working e orari flessibili dovrebbero essere la regola, non l’eccezione. Non è una concessione, ma un diritto che permetterebbe a tutti - madri e padri - di conciliare lavoro e figli.
I servizi per l’infanzia devono essere accessibili. Non c'è bisogno solo di asili nido più economici, ma anche più diffusi. Perché non dovremmo più sentir parlare di liste d’attesa infinite. Avere un luogo e delle persone a cui affidare il proprio bambino mentre si lavora dovrebbe essere garantito, punto.
La parità di genere deve diventare reale. Il che significa che gli uomini italiani dovrebbero essere messi nelle condizioni di assumersi la loro parte di responsabilità genitoriale, senza che tutto il peso ricada quasi sempre sulle donne. Un congedo di paternità esteso e obbligatorio sarebbe un ottimo punto di partenza. A seguire, servirebbero percorsi di psicoterapia per coppie e singoli più accessibili (quindi viva il bonus psicologo, quello vero, non le mancette) in modo da strutturare maggiore consapevolezza e responsabilità condivisa sulla vita famigliare.
Infine, bisognerebbe ridisegnare le città a misura di famiglia: spazi pubblici accoglienti, trasporti efficienti, parchi giochi curati. Sembra poco, ma vivere in un ambiente bello, che ti fa sentire supportato, può fare la differenza tra decidere di avere un figlio o rinunciare.
"Non ci sono più valori": ma è vero?
Si sente sempre qualche genitore dirci che non ci sono più i valori di una volta. Che loro, alla nostra età, avevano due figli, una casa e un contratto a tempo indeterminato. Che siamo distratti da una vita sempre più individualista e consumistica. S
iamo davvero diventati una società che ha smesso di valorizzare i figli? Forse la risposta è un’altra: non siamo diventati egoisti, siamo semplicemente più consapevoli. Consapevoli che mettere al mondo un figlio è un atto di amore, sì, ma anche di enorme responsabilità. E quella responsabilità vogliamo sentirla condivisa, non scaricata sulle nostre spalle con una delle più gettonate battute: "Hai voluto i bambini? E ora pedala".
L'Italia che vorrei
La vera domanda non è “perché non facciamo figli?” ma “che Italia vogliamo per i figli di domani?”.
Bonus o non bonus, il tema della natalità ci costringe a guardarci dentro e chiederci che tipo di società vogliamo costruire. Una società che rende genitori felici e non schiacciati dalle difficoltà. Una società che rimette al centro il desiderio di crescere insieme, come comunità oltre che come individui. Una società che dice: siamo pronti a sostenerti, perché avere un figlio non deve essere il tuo sacrificio, ma il nostro investimento collettivo. Non servono miracoli. Serve solo la volontà di pensare in grande, di fare le scelte giuste anche quando si va a votare e di investire nel futuro, non solo economico, ma umano e sociale. I bonus, alla fine, sono solo la punta dell’iceberg.
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