Trattato come un fenomeno “esotico”, il “sesso chimico” è ormai ben radicato anche in Italia. Ecco come funziona, chi sono i chemsex addicted e cosa si può fare per arginare questa epidemia silenziosa
Trattato come un fenomeno “esotico”, il “sesso chimico” è ormai ben radicato anche in Italia. Ecco come funziona, chi sono i chemsex addicted e cosa si può fare per arginare questa epidemia silenziosaPrendono cocaina, mephedrone, crystal. Si fanno di ecstasy, di ketamina, di popper, di viagra. Obiettivo? Fare sesso, estremo se possibile. Solitudine, voglia di sperimentare e di uscire fuori dalla propria emarginazione e comfort zone: qualunque sia la molla che fa scattare la voglia di farsi, il chemsex è diventata un'epidemia silenziosa ormai ben radicata anche in Italia. Spesso i pusher organizzano e vendono la loro merce durante i chill-out party, incontri organizzati ad hoc. La counselor Angela Infante e lo scrittore Andrea Mauri hanno racconto l’esperienza di dipendenza dal chemsex di dieci ragazzi chimici italiani. Ne è nato un libro, Ragazzi chimici (Ensemble Edizioni).
Che tipo di dipendenza provoca il chemsex: fisica, mentale? Come funziona?
Mauri: Nel chemsex tutto si fonde. Dipendenza fisica e dipendenza psicologica. Quello che mi ha colpito, ascoltando le storie dei ragazzi, è che può partire anche all’interno della coppia e non solo negli incontri di gruppo. E accade pure che con il tempo la coppia desideri estendere l’esperienza ad altre persone. Naturalmente in parallelo esiste anche il chemsex dei cosiddetti chill di gruppo, convocati nella maggior parte dei casi attraverso le app di incontri.
Infante: Il chemesex può provocare sia una dipendenza fisica che mentale per le droghe e per il sesso consumati nelle sedute: a volte l’una, a volte l’altra, a volte entrambe. Devo aggiungere però che ci sono ragazzi che usano le sedute di chemsex come puro divertimento, per trascorrere una serata differente, anche tra amici, per divertirsi. Come funziona? Credo che ognuno esplori le proprie zone scure: a volte è illuminante vedere cosa ci sia oltre la propria comfort zone.
Chi sono i chemsex addicted?
Mauri: Il chemsex è un fenomeno trasversale, anche se la disponibilità economica opera una sorta di filtro. È pur vero che non servono cifre altissime per partecipare a un chill. I ragazzi chimici raccontano di una colletta di 50 euro per acquistare la roba necessaria. Certo, dipende poi da quante volte si frequentano questi incontri.
Infante: Siamo tutti Noi, l’essere umano ha una sua naturale diffidenza verso quello che non conosce, potrebbe informarsi, studiare, ma preferisce, invece, “incasellare”: «datemi uno stereotipo di uomo che fa chemsex e io sarò fuori da quella casella!». A volte penso che dall’epidemia di AIDS degli anni ’80 non abbiamo imparato nulla…o quasi!
Cosa cercano negli incontri e nelle droghe?
Mauri: Alcuni hanno dichiarato di avere problemi con il sesso o con le dipendenze. Altri cercano uno svago. Ho percepito il desiderio di questi ragazzi di tenere a bada i demoni e le ossessioni che li agitano. In fondo, è la stessa inquietudine che attraversa ogni essere umano e noi siamo molto creativi nel trovare svariate soluzioni a contenere questo magma interiore.
Infante: Credo che il nostro libro sia un timido tentativo di porre queste domande, dato che “comprendere il perché” mette al sicuro alcuni di noi, ma stimola altri a porsi domande nuove.
I ragazzi chimici dipendono più dalle sostanze o dalle pratiche?
Mauri: Credo che sia il chill in sé ad attrarre complessivamente, e la modalità con cui è organizzato, quasi un rito da compiere. Dubito che ci sia una dipendenza esclusiva dal sesso. In fondo, approcci sessuali si possono trovare anche al di fuori degli incontri di chemsex. Anzi, l’uso di sostanze specifiche durante i chill molto spesso fa insorgere problemi di erezione. Quindi il sesso da solo non funziona, se non è accompagnato da qualcos’altro.
Infante: Quello che ho notato è l’importanza del rituale: «avere dei contatti sicuri sulla tua rubrica, riconoscere le case che potrebbero ospitarti, il condividere “disinteressato delle sostanze o dei soldi per acquistarle”, è l’iniziale ingenuità del “smetto quando voglio”». Ovviamente non vale per tutti.
Nella vostra esperienza qual è la motivazione primaria che spinge le persone verso questa pratica?
Mauri: Nei racconti ho sentito, tanta solitudine e anche un’ansia da prestazione. Tra le righe emerge uno sminuire il corpo e una difficoltà a percepirsi in armonia con il mondo, sia sul piano fisico che su quello psicologico. Poi però sboccia il desiderio di trovare un amore vero, che può sembrare strano in contesti così forti. Invece è la conferma che l’impulso ad amare è diffuso un po’ ovunque. Poi c’è anche chi fa chemsex per puro svago.
Infante: Tra le tante storie che ho ascoltato: «un’opportunità di perdere il controllo», quel controllo che tutti dobbiamo usare per essere socialmente accettati e che, a volte, è visto come una prescrizione, un dovere.
Uno dei ragazzi scrive: «Vorrei solo chiarire che nel chemsex i soldi sono il filtro di questi incontri. La disponibilità di contanti fa la selezione all’ingresso». Che tipo di economia crea il chemsex?
Mauri: Da osservatore del fenomeno, se non hai i contanti, puoi presentarti con una bustina di roba del valore della quota stabilita. Se sei in regola con il pagamento, vieni ammesso. Altrimenti ti buttano fuori per evitare impicci. In questo senso la disponibilità economica fa selezione all’ingresso. Solitamente la droga si acquista prima di incontrarsi. Questo per evitare intrusioni e interruzioni dall’esterno di gente non invitata. Può capitare che i conti siano stati fatti male e ci sia meno roba della durata stimata dei chill. In questo caso si può chiamare un pusher da fuori. Se poi uno dei partecipanti è anche un pusher, allora si è a cavallo. Non saprei quantificare il giro economico intorno al chemsex. La sensazione è che non si discosti molto da quello degli altri circuiti della droga.
Infante: L’economia che crea il chemsex è, come per tutte le sostanze illegali, quella di un mercato a sé stante: uomini che si impoveriscono e persone che si arricchiscono. Per alcuni uomini il denaro può diventare un deterrente. Poi ci sono mille modi di ingegnarsi per arrivare al proprio scopo.
Effetti collaterali: cosa succede ai chemsex addicted (nella vita, negli affetti, nel lavoro)? Sembra che la sieropositività sia la conseguenza più frequente. Rispetto ai ragazzi cresciuti negli anni Novanta, quando girava il famoso spot con gli aloni viola, quelli di oggi sembrano aver abbassato la guardia... Non c'è più la paura dell'HIV e dell'AIDS?
Mauri: Alcuni ragazzi chimici hanno raccontato di aver avuto paura a un certo punto di non controllare più la loro vita. L’effetto del cosiddetto craving, ossia il desiderio e la necessità di un consumo sempre maggiore di sostanze stupefacenti, comporta il rischio di spingerli a frequentare sempre più incontri, a isolarsi per giorni interi, a vivere in una dimensione parallela, a rinunciare alle relazioni interpersonali, a sviluppare problemi di concentrazione sul lavoro e nel peggiore dei casi ad arrivare persino a perderlo. Per questo è importante che si inizi a parlare seriamente di questo fenomeno.
Infante: Per la mia esperienza di ascolto, le persone sieronegative che non sempre ricorrono all’uso del condom, conoscono la PrEP. PrEP sta per profilassi, ossia Prevenzione pre-esposizione. La PrEP è un farmaco che protegge dal virus dell’HIV, gli impedisce di riprodursi nell’organismo ed evita di contrarre l’infezione. Non porrei l’accento in particolare sull’infezione da HIV, anche se rimane la paura di molti, ma sulle IST, le Infezioni Sessualmente Trasmissibili. Spesso (ma questo non vale solo per la comunità di MSM- Maschi che fanno Sesso con Maschi), quando esiste una cura, la paura non è più il nostro primo pensiero.
Secondo voi cosa bisogna fare per arginare il fenomeno: qual è il ruolo che famiglie, scuola e istituzioni devono svolgere?
Mauri: È fondamentale lavorare sulla riduzione del danno e far emergere il fenomeno. Finora il chemsex è stato trattato in modo piuttosto “esotico”. Dobbiamo prendere coscienza del fatto che la situazione è ben diversa. Credo che in futuro arriveranno nuovi studi scientifici sul fenomeno, che si cercherà di misurarne la portata e che, come succede già in altri Paesi, si appronteranno dei servizi adeguati alla prevenzione e alla riduzione del danno. Nel frattempo però è bene parlarne in ogni luogo.
Infante: La famiglia non è quasi mai a conoscenza di questo fenomeno, se non in casi di dipendenza grave, e non può e non deve essere sempre né la causa né la soluzione di “tutti i mali”. Credo molto nel libero arbitrio, quando sostenuto da informazione e formazione. Le istituzioni e la scuola in particolare dovrebbe affrontare tematiche che non siano solo di studio, ma di vita. Informare e formare tutti, non solo le nuove generazioni, è la grande sfida di un Paese che si definisce civile.
Non esistono attualmente, in Italia, strutture qualificate, se non alcune “isole felici” che possano affrontare in maniera adeguata un fenomeno che si racconta come nuovo, ma che nuovo non è! Prevenire è sempre stato meglio che curare, ma credo che ancora non lo abbiamo imparato.