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SOS violenza sulle donne: lo speciale

PEOPLE: L'ATTUALITA'
PEOPLE: L'ATTUALITA'

Perché è importante parlare del caso Wenstein & Co.

In principio, al centro della vicenda, c'era solo lui, il "mogul" del cinema. Poi il caso ha coinvolto altri potenti uomini dello spettacolo e non solo. Ma che senso ha parlare di queste storie dopo tanti anni? Facciamo il punto. 

In principio, al centro della vicenda, c'era solo lui, il "mogul" del cinema. Poi il caso ha coinvolto altri potenti uomini dello spettacolo e non solo. Ma che senso ha parlare di queste storie dopo tanti anni? Facciamo il punto. 

Vorrei poter dire che questo articolo è tutta farina del mio sacco, ma non sarei onesta. La domanda era chiara: perché è importante, ancora oggi, a più di un mese dall'esplosione dello scandalo, parlare del caso Weinstein? La risposta è giunta grazie a una lezione del mio laboratorio di lettura. Da quattro anni, ogni settimana, insegno a re-imparare a leggere, una guerra contro l'analfabetismo di ritorno. Lo faccio con persone over 60, a volte molto over.

Durante l'ultimo laboratorio stavamo leggendo Se prima eravamo in due di Fausto Brizzi. Avevo scelto questo libro perché con Ho sposato una vegana ci eravamo divertiti parecchio. Dopo 15 giorni Brizzi è finito tra gli accusati per molestie sessuali: ad incolparlo almeno 10 attrici. E io avevo tra le mani il libro di un neo-papà che racconta la vita a una bambina, come lo erano state quelle donne lì. 

I miei alunni – che saranno sì over 60, ma non vivono sulla Luna – mi hanno chiesto: “Professoressa, ma è quel Brizzi di cui parlano al telegiornale? Quello che ha molestato delle donne?”. Non potevamo più rimandare il dibattito. E ho scoperto perché parlare del caso Weinstein è necessario.

I miei corsisti hanno proprio l'età di Harvey Weinstein. Usano i social per restare in contatto con figli e nipoti, per guardare le loro foto e condividere i “buongiornissimo” a tutti i contatti. Non hanno intercettato la tempesta di post, pareri, condanne trasversali al produttore cinematografico, scorrendo Facebook o Twitter. Sapevano solo una versione della storia, quella della televisione.

Grazie a loro ho capito perché sono successe certe cose, perché le vittime ci hanno messo 20 anni per parlare, perché le confessioni in Italia sono state accolte in maniera diversa rispetto agli Stati Uniti, qual è l'esatta differenza tra avances e molestie (e anche perché non è importante).

Per quei pochi che non lo sapessero perché vivono isolati dal mondo, qui un piccolo riassunto su chi è e cosa ha fatto Harvey Weinstein.

La domanda con cui abbiamo iniziato è: perché parlano ora. Ci è voluta un'inchiesta del New York Times per far crollare il castello di carte e per rompere la diga che per anni ha tenuto chiusa la bocca a ormai decine di donne, costrette a convivere con la frase: "Se parli, tanto non ti crederanno". A tutti/e è capitato di ricevere un apprezzamento fuori luogo o avances troppo esuberanti.

La valanga di confessioni giunte dopo 20 anni di silenzi, da donne forti e capaci come Angelina Jolie o Gwyneth Paltrow o Asia Argento o Cara Delevigne o Bjork hanno fatto sì che tante altre donne, anche quelle che non fanno notizia, non si sentissero sole e parlassero. A volte non si riesce a parlare perché si ha paura: paura delle conseguenze, delle ritorsioni di quegli uomini che le hanno violate fisicamente ed emotivamente, dei giudizi di chi assiste.

Alcuni hanno osservato: "Aveva firmato un accordo, perché ci hai ripensato?". Oppure: "Poteva dire no". E ancora: "Forse se l'ha fatto, ci ha guadagnato anche lei". E, sorpresa, come nel caso di Asia Argento, la maggior parte di queste frasi, anche via social, sono state pronunciate da donne (vedi il caso di Guia Soncini che prima ha fatto slutshaming su Twitter nei confronti dell'attrice e poi ha scritto un ripulitissimo editoriale sul New York Times. Per tutta la querelle, consiglio questo bellissimo pezzo di Anonimo Coniglio).

Uno dei motivi per cui bisogna parlare del caso Weinstein è per comprendere che non ci sono donne migliori di altre perché hanno detto "no" o non si sono nemmeno trovate nella condizione di dire "no", o di essere molestate. Bisogna parlarne per insegnare alle donne a capire che una violenza è sempre una violenza. E per questo va sempre denunciata, no matter what.

Bisogna parlarne per comprendere la differenza tra avance e molestie

L'altro tema del dibattito era: “Ma forse esagerano, in fondo le avances non sono così male, che c'è di male nelle avances?” Allora siamo andati a ritroso e siamo ripartiti dal significato di queste parole.

Secondo il vocabolario Treccani "avances" è un termine con cui in Italia si definisce un approccio, "tastare il terreno", "sondare le intenzioni". Niente di invadente dunque. Passiamo a "molestia". Secondo lo stesso dizionario, con questa parola si indica "una sensazione incresciosa di pena, tormento, incomodo, disagio, irritazione, provocata da persone o cose e in genere da tutto ciò che produce un turbamento del benessere fisico o della tranquillità spirituale".

Fra i due atti sembra che ci sia un limite. Quel limite è il disagio.

Se un'avances non mi mette a disagio, allora non è una molestia. Se lo fa, se mi provoca un turbamento, allora "sale di grado" e diventa una molestia. Se l'avance è fisica e non desiderata, e quindi turba il mio benessere fisico, sono vittima di una violenza.

Parlare del caso Weinstein può essere un modo per le nuove generazioni per capire quando a un atto si deve dire no: basta ascoltarsi e scoprire se si è a disagio.

Bisogna parlare del caso Weinstein per scoprire cosa spinge a compiere atti di violenza sessuale

Un aspetto curioso della vicenda che ha coinvolto anche il comico Louis C.K. è la scelta a volte di non toccare nemmeno le vittime, ma di masturbarsi di fronte a loro. In un'intervista Monica Bellucci ha detto: "A scatenare certi comportamenti non è neanche la sessualità, è la paura. Certi uomini sono eccitati dalla paura delle donne, sentendo la paura della preda sentono la sensazione di potere, il potere sulla fragilità della preda. Ed è questo che va cambiato".

In un articolo molto completo sulla ragione che ha scatenato questa valanga di confessioni, si sottolinea anche come costringere qualcuno a guardare la propria eccitazione e la masturbazione sia un sentimento che viene da lontano, da attenzioni insufficienti durante l'infanzia, dal bisogno - come se si fosse bambini - di essere guardati per essere legittimati e sopravvivere.

Quindi c'è il potere. C'è il disagio. C'è la paura. C'è il coraggio. Di tutto questo si deve parlare. E, parlando con persone che hanno superato i 60 anni, lo si deve fare per demolire stereotipi come "se l'è cercata", "aveva la gonna troppo corta" (Le minigonne non sono illegali, lo stupro sì) o "l'uomo è cacciatore".

Quante volte, bonariamente o no, abbiamo ascoltato questa frase? Forse troppe. Se nella testa di una ragazzina si legittima l'esistenza di un cacciatore, si crea anche il suo opposto: la preda. E le donne non sono prede. Non abbiamo bisogno del femminismo per capire che non vanno difese le donne in quanto tali, ma in quanto esseri umani.

Liberiamo dunque la preda che c'è in noi. Per farlo, non c'è bisogno di diventare cacciatrici. Dobbiamo solo ricordare che tutti, a prescindere dal genere sessuale, respiriamo la stessa sostanza: puro ossigeno