Anche in Italia ci si sposa sempre meno: quali sono i motivi che portano gli italiani a rimandare "il grande passo"? Cerchiamo di capirne di più!
Anche in Italia ci si sposa sempre meno: quali sono i motivi che portano gli italiani a rimandare "il grande passo"? Cerchiamo di capirne di più!Il numero delle coppie che in Italia decide di sposarsi scende sempre di più. A dirlo è l'Istituto nazionale di statistica (Istat) che per l'anno 2013 ha registrato la celebrazione di 194.057 matrimoni, oltre tredicimila in meno rispetto all'anno precedente. E il trend negativo si registrerebbe ormai da diversi anni, essendo iniziato nel 2008.
A sposarsi di meno sono soprattutto le coppie che abitano in Sardegna e in Umbria mentre la provincia di Bolzano va controcorrente e fa registrare un lieve aumento. Snocciolando altri dati, si scopre poi che il calo più significativo viene registrato nelle prime nozze fra sposi di cittadinanza italiana; scende anche il numero di coloro che festeggiano le seconde nozze (che sono più diffuse nella zona del centro-nord).
Fra chi sceglie di sposarsi poi, sale la percentuale di coloro che opta per il rito civile e per contro cala il numero di coloro che si sposano con il rito religioso. La maggior parte di chi convola a nozze sceglie il regime di separazione dei beni (a farlo è il 69,5% delle coppie).
Nell'anno 2013 il 13,4% dei matrimoni celebrati ha previsto almeno uno sposo straniero: la tipologia prevalente è quella in cui la sposa è straniera mentre lo sposo è di cittadinanza italiana. E se il 19,2% degli uomini che hanno sposato una donna straniera l'ha fatto con una cittadina rumena, il 13,7% delle donne italiane che ha sposato uno straniero l'hanno fatto con un marocchino.
Commentando i dati diffusi dall'Istat Monsignor Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio consiglio per la Famiglia, ha dichiarato che il calo dei matrimoni sarebbe da addebitare soprattutto all'imperante egoismo ed egocentrismo nella nostra società.
Una considerazione che potrebbe essere anche in parte vera ma che non tiene conto però delle difficoltà economiche che la crisi impone, prima fra tutte la mancanza o la precarietà del lavoro.
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