Si lotta ancora per trasformare tantissime atlete da dilettanti a professioniste. Caterina Caparello dedica il libro Testarde alle prime donne che hanno creduto nello sport al femminile.
Si lotta ancora per trasformare tantissime atlete da dilettanti a professioniste. Caterina Caparello dedica il libro Testarde alle prime donne che hanno creduto nello sport al femminile.Appassionate. Forti. Invisibili, ma perseveranti. In una parola: Testarde. Questa è la parola che Caterina Caparello usa per intitolare il suo viaggio tra le donne primatiste in campo sportivo. Testarde. Storie di atlete italiane (Casosfera Edizioni) è una raccolta di prime volte al femminile. C'è la storia di Rosetta Gagliardi, la prima donna italiana alle Olimpiadi, ma anche quella di Elvira Guerra, che ai Giochi aveva partecipato ufficiosamente. Si racconta la prima commissaria tecnica, Marina Zanetti, e la prima medaglia olimpica delle Piccole Ginnaste Pavesi.
Ognuna di loro ha contribuito a dare un colpetto a quel maledetto tetto di cristallo che per anni ha relegato le donne sportive alla sola categoria di dilettanti, con tutto ciò che ne consegue in termini di stipendi, tutele e carriere. Ora che qualcosa sta cambiando, è venuto il momento di raccontare chi ha cominciato anche alle nuove generazioni.
Archeologia sportiva
Caterina Caparello, calabrese, classe 1987, è innanzitutto un'appassionata di sport. Ex tennista e cestista, per anni ha scritto di questa disciplina e dei suoi protagonisti su testate nazionali. La sua penna ha sfruttato questo repertorio di storie per andare a scavare e conservare le più belle, soprattutto quelle che potevano gettare luce sulle donne e la loro difficile posizione in ambito sportivo.
«Ho intervistato molte giocatrici e, dialogo dopo dialogo, mi ritrovavo ad andare sempre più indietro nel tempo fino a non saper rispondere a semplici domande tipo “Quali sono state le prime donne italiane a vincere una medaglia?”. Così ho voluto dare risposta a questa e ad altre domande, incontrando nomi incredibili come Elvira Guerra, la prima atleta italiana a partecipare alle Olimpiadi, ma non ufficialmente». Da lì, Caterina non si è più fermata.
C'era però una difficoltà da affrontare. Proprio perché travagliate, le biografie di queste pioniere sportive sono per lo più sconosciute. Caterina ha dovuto giocare di fantasia per ricostruire le emozioni, ma anche le tappe percorse da atlete come Rosetta Gagliardi, la prima donna a partecipare – questa volta ufficialmente – ai giochi olimpici. Da ex sportiva, difficile non identificarsi con le loro difficoltà, con i pregiudizi, con gli ostacoli da superare.
Il compromesso per un futuro migliore
«A livello emotivo mi sono sentita vicina a Marina Zanetti, simbolo di un'importante evoluzione nel mondo sportivo. Infatti, fino al 1929 la Federazione femminile di atletica era un'organizzazione a sé stante. Poi, per farla sparire, il regime fascista volle inglobarla nella Fidal. Marina sapeva che questo passaggio avrebbe comportato la cancellazione di quell'organizzazione e delle donne che rappresentava. A meno che una come lei accetta l'incarico di dirigere questa sezione, inghiottendo più di un rospo e scendendo a compromessi per preservare lo sport femminile».
All'epoca lo sport veniva consigliato alle donne come pratica da svolgere per agevolare il parto. Nulla più. I corpi atletici come quello di Ilde Precop, nome italianizzato di Hilde Prekop, erano visti come adatti alla procreazione e utili a incoraggiare le donne italiche a praticare sport, ma senza ambire a carriere sportive. A quel tempo, se le donne vincevano il loro corpo andava bene perché dimostrava che potevano dare alla luce dei ragazzini forti per l'italia. Spenti i riflettori, dovevano tornare nel tinello di casa.
Nel 1913 Marina organizza le Olimpiadi della Grazia, giochi dedicati solo a donne. Convoca l'ostacolista e velocista Ondina Valla e la spadaccina Rosetta Pirola Mangiarotti, che vincerà la competizione. Nel 1933 Marina Zanetti verrà licenziata senza vere motivazioni. Ma la sua opera non resterà sterile. Infatti, grazie alle Olimpiadi della Grazia, tante storie di donne sportive si incrociano, mettendo in evidenza un grande potenziale.
Quella scintilla irresistibile
In tutte le donne raccontate in Testarde si coglie quel fuoco insopprimibile che le spinge a sfidare convenzioni e difficoltà, pur di praticare il proprio sport preferito. La scintilla sta tutta nella consapevolezza di potercela fare e di volerlo provare agli altri. «Da ex sportiva conosco la voglia di dimostrare – più che agli altri, a sé stesse – di poter vincere. Ritrovarsi sempre circondate da uomini e sapere di poterli battere è una sfida avvincente, anche verso gli stessi pregiudizi e il proprio corpo».
Ciò spinge le atlete a immensi sacrifici, come dimostra lo scandalo che ha travolto la Nazionale di Ginnastica Ritmica. I racconti di violenze psicologiche e pratiche bieche di controllo del peso hanno decretato la fine di quella che alcuni hanno chiamato “l'era delle farfalle”. Ma i sacrifici sono anche quelli di donne come Sara Gama che si sono battute affinché il loro ruolo di professioniste dello sport fosse riconosciuto.
Oggi diventare atlete professioniste è più facile? «Questo termine non rende bene l'idea. La problematica dello sport praticato dalle donne e del professionismo è una questione storica. Oggi investire nello sport femminile è necessario. Le cose stanno cambiando e bisogna mettersi in ascolto. Dopo il successo ottenuto nel calcio, aspettiamo che siano messe in luce anche le professioniste di altre discipline sportive, come il caso di Paola Egonu, considerata una dilettante, dimostra».
Essere donne e sognare una carriera da professionista sportiva non è impossibile. Sono ancora tante le ragazze che, anche dovendosi preparare per una gara, continuano a studiare per avere un piano B. «Ma bisogna provarci e mettercela tutta, divertirsi e credere in quello che si fa. Poi è necessario usare anche la propria voce per poter denunciare ciò che non va e provare a cambiare le cose, arrivando a chi decide davvero».