Ha sofferto di bulimia e faticato molto ad accettare il suo corpo. Poi c’è riuscita: modella, influencer e attivista curvy, adesso è una paladina del body positive. La sua storia è diventata un libro, Noi siamo luce. L’intervista.
Ha sofferto di bulimia e faticato molto ad accettare il suo corpo. Poi c’è riuscita: modella, influencer e attivista curvy, adesso è una paladina del body positive. La sua storia è diventata un libro, Noi siamo luce. L’intervista.Non esistono corpi “giusti” e corpi “sbagliati”: ogni corpo merita rispetto e amore. È questa la filosofia di Laura Brioschi, autrice del libro Noi siamo luce, pubblicato a ottobre 2020. Classe 1989, solare, bella e di successo, Laura si è sentita per anni in guerra con le forme del suo corpo, e dunque con sé stessa. Poi, un giorno, ha deciso di iniziare ad amarsi ed ha così intrapreso un percorso verso l’accettazione delle sue forme e l’autostima. E dalle ferite, come da titolo, ha lasciato che entrasse la luce. Nel libro, edito da De Agostini, Laura ripercorre proprio questo cammino, dalle insicurezze di bambina e adolescente che si sentiva sbagliata al duro impatto con il mondo della moda, dal suo punto più basso alla rinascita, passata per l’amore di un uomo speciale e dalla scoperta dell’alimentazione consapevole. Paladina del body positive, Laura Brioschi oggi non è solo un’influencer da oltre mezzo milione di follower su Instagram, ma anche un’imprenditrice: ha infatti lanciato una linea di abbigliamento per donne curvy («Senza abiti giusti, rischiano di non uscire di casa e di deprimersi», mi spiega). Non solo. Nel 2018 ha istituito, insieme al compagno Paolo, l’associazione no-profit Body Positive Catwalk, che con i suoi flashmob ha portato a spogliarsi in piazza centinaia di donne e uomini, per sensibilizzare contro ogni discriminazione: «Un anno fa fa eravamo in Duomo a Milano, in 300 a manifestare e 2 mila a guardare, per l’evento più grande d’Europa. Purtroppo adesso con il Covid-19 siamo fermi, speriamo di ricominciare presto perché ce n’è bisogno».
Iniziamo con un bel passo indietro. Quando e come è iniziata la non accettazione del tuo corpo?
«Con un insieme di cose: occhiatine e occhiatacce ricevute dai compagni di scuola e poi dai più grandi quando a tavola chiedevo il bis, il vedermi più rotonda delle bambine delle pubblicità, le donne adulte sempre a dieta e quelle in tv magrissime... Tutte cose che si fissano nella mente, facendoti pensare che l’unica via per essere felice e accettabile è la magrezza. La cosa non è migliorata al liceo, quando l’apparenza contava tanto: le ragazze più belle erano magre e io non ci andavo proprio vicino (ride). Così ho iniziato a fare diete di continuo: con l’effetto yo-yo avrò perso e ripreso 200 chili durante la mia vita, che è una cosa folle. E sono state poi proprio queste diete a farmi ammalare. L’idea che tutto fosse uno sgarro, che mi dovevo privare del cibo, che non valevo niente perché non avevo forza di volontà: meccanismi che abbiamo tutti, perché la cultura della dieta appartiene alla nostra società da tempo».
La malattia di cui parli è la bulimia.
«Estenuata da mille diete, sono arrivata ad ammalarmi di bulimia. Un disturbo alimentare dovuto alla mia debolezza, certo, però ho scoperto che siamo davvero in molti a soffrirne, di ogni età. Non potevo saperlo, perché di bulimia non si parla: l’atto del procurarsi il vomito è sporco, brutto, non piace, fa vergognare».
E alla fine la bulimia è un cane che si morde la coda. Per questo è difficile uscirne, giusto?
«Quando ti privi del cibo in quel modo, il corpo non vede l’ora di assimilarne di nuovo. Come scrivo nel libro, non puoi fregare il corpo umano, sopravvissuto a chissà quante carestie! Lui ti protegge, quindi subito dopo aver vomitato ti viene subito fame. Ho sofferto di bulimia fino a 23-24 anni: per risolvere questo problema ho parlato con uno psicologo, grazie a cui ho intrapreso un percorso di alimentazione consapevole».
A 20 avevi intrapreso l’attività di modella curvy. Non ti ha aiutato ad accettarti?
«Quello della modella è un lavoro che non porta autostima, anzi mette a dura prova. Ci sono tanti casting e spesso vieni rifiutata, perché non puoi andare bene a tutti. E se vieni scelta, ti può capitare di sentire commenti di ogni genere. Alla fine rimani un oggetto che indossa dei vestiti per soddisfare la “scimmia” del cliente di turno. Per me la cosa più bella, oggi, è avere il dono della parola: oltre a fare la modella, grazie ai social posso anche comunicare».
Quando è iniziato allora il tuo percorso di accettazione?
«Ti posso dire il giorno in cui ho toccato il fondo, cioè quando mi sono risvegliata sul pavimento del bagno di un albergo. Ho capito che non volevo diventasse un’abitudine e che dovevo darmi più amore e rispetto. Non avrei permesso a nessuno di farmi del male, tantomeno a me stessa. Ma non è che da lì sia andato tutto bene: solo dopo un’altra dieta drastica ho davvero detto basta. Era il 2013: come ti ho detto, mi ha dato una grande mano il mindful eating».
Di cosa si tratta?
«È un approccio con il cibo basato sulla consapevolezza e sull'attenzione al qui e ora. Significa riconnettersi con corpo e mente. Il mindful eating è mangiare assaporando ciò che stai mangiando, cosa non banale. È togliere le etichette: la minestra è considerata un cibo per malati, ma non è così. È ascoltare il nostro corpo per sapere di cosa ha voglia o bisogno».
Tra i vari fattori che hanno contribuito alla tua rinascita c’è anche un approccio più sano al fitness. In che senso?
«Anche se pigra, ho sempre fatto sport. Quello che è cambiato è appunto l’approccio. Non faccio più sport per dimagrire, per punizione perché ho mangiato la pasta e devo consumare tot calorie. Ma solo con lo scopo di stare bene, di godere del piacere che il movimento mi dà. Su Instagram ho creato una pagina dedicata al fitness in cui cerco di allenarmi due volte a settimana con le mie “ciapine”, le ragazze che mi seguono. Spesso sono dei work out un po’ matti. Ad esempio invece di fare jumping jack normali faccio dei saltelli come se fossi a un concerto. Dimagrire è una conseguenza, non lo scopo».
In un percorso di accettazione penso sia importante avere al proprio fianco una persona. Il tuo compagno, Paolo, in che momento della tua vita è arrivato?
«Avere un compagno non è necessariamente un pro, perché non è detto che ti capisca al 100%, quando nemmeno tu ci riesci sempre. Paolo è arrivato in un momento in cui avevo deciso già di amarmi e mi ritengo molto fortunata perché è una persona, anzi un’anima, disposta a comprendere il prossimo, a non essere superficiale. Certo, ci sono state cose che lui non ha capito subito, come il mio rapporto con il cibo, ma piano piano c’è riuscito. Non sono mancati i momenti di up e down causati dalla mia fisicità: lui era sempre stato con donne molto atletiche e si è stupito dell’attrazione per una formosa come me. Anche da parte sua c’è stato un percorso di crescita».
Il tuo compagno è decisamente “fisicato”. La vostra coppia riceve critiche sui social?
«Sì, c’è gente che non comprende come io possa stare insieme a una persona atletica, come se questo fosse un torto al body positive… Mi viene da ridere. Poi criticano Paolo perché sostiene il body positive, causa a cui secondo molti dovrebbero partecipare solo persone grasse, con qualche disabilità o con qualcosa che non va. Questa è una forte chiusura mentale, è body shaming. Incentrato sul rispetto per il proprio corpo e sul togliersi i pregiudizi, il body positive invece è per tutti, perché parla a tutti».
Ricevi insulti per il tuo aspetto fisico?
«Posso ricevere anche dieci insulti, ma quando mi arriva un messaggio di ringraziamento per quello che faccio, tutto il resto si cancella. Sono molto fortunata perché nella mia community non ho hater, i problemi sorgono quando vengo ripostata da pagine non propriamente “pro curvy”, tipo Trash Italiano. E allora lì apriti cielo: “Devi morire”, “Non dovresti avere figli”, “Suina di merda”. Si denuncia e via… che devo fare? La cosa disarmante è che ci sia tanta gente che pensa queste cose e che abbia il coraggio di scriverle!».
Ma le cose non stanno migliorando un po’ da questo punto di vista?
«La mia fisicità non è più vista come qualcosa di enorme, come capitava prima. È come se fosse diventata più accettabile. Però non sono una ragazzina che sta al liceo o alle medie, non so com’è adesso la situazione per le giovanissime, peggiorata magari dall’uso dei social network».
Sulla tua pagina Instagram hai “citato” la copertina di Vanity Fair con Vanessa Incontrada.
«Una copertina che ha creato scalpore mediatico, dunque molto importante. Tante ragazze però l’hanno criticata perché non si sentivano rappresentate da Vanessa Incontrada, in quanto non abbastanza grassa, altre hanno detto che era photoshoppata perché non si vedeva la cellulite. Assurdità da parte di persone insicure, le quali non capiscono che un corpo non può rappresentare tutte! Spero comunque che presto il nostro fisico non sia più qualcosa di cui parlare».
Il body shaming riguarda anche gli uomini?
«Sì, la paura del grasso non ha sesso. Le donne sono più colpite dal body shaming perché più legate all’aspetto fisico: l’uomo potente con la pancia non fa un brutto effetto, anzi è quasi più rassicurante. Se la donna non è in forma, invece, è da criticare. Però, sì, anche gli uomini possono essere vittime di body shaming».
Al di là degli insulti, quali possono essere gli effetti della grassofobia?
«Tante persone non vengono scelte per un lavoro perché troppo “ingombranti”, dunque brutte. È una cosa che non va bene. Bisogna dare voce alle persone obese discriminate. E questo non significa inneggiare all’obesità. Gli uomini e le donne con una percentuale di grasso superiore alla media devono essere reietti della società? Iniziamo a trattare gli obesi come esseri umani: solo così possono mettersi alle spalle, se vogliono, l’obesità. Che di per sé non è nemmeno una malattia, certo non più dell’essere sottopeso».
Quali sono i limiti del body positive? Non si rischia di sminuire i rischi dell’obesità?
«Accettazione non significa arrendersi alle cose. Se non ti accetti non puoi migliorare la tua vita. Non deve dunque esistere limite all’accettazione: è indispensabile accogliersi, perché solo così possiamo trovare il nostro equilibrio».
Foto apertura: @Giuseppe Circhetta