Ha iniziato dalla prima serata e ora viene trasmessa di pomeriggio: la soap storica di Rai 1 è un successo, ma anche un’occasione mancata. Ecco perché.
Ha iniziato dalla prima serata e ora viene trasmessa di pomeriggio: la soap storica di Rai 1 è un successo, ma anche un’occasione mancata. Ecco perché.Un posto al sole scansati? No, ma quasi: trasformato da fiction serale a soap opera, Il Paradiso delle signore si è rivelata una scommessa vinta per la Rai, un vero e proprio trionfo pop capace di far chiudere i battenti persino a Il Segreto (facciamo finta che sia così), attestandosi attorno al 12% di share. La serie, giunta alla quinta stagione e ispirata a un romanzo di Émile Zola, racconta le vicende (soprattutto sentimentali) di un variegato cast di personaggi, sullo sfondo del primo grande magazzino di Milano, a cavallo tra gli Anni 50 e 69. Come detto, Il Paradiso delle signore piace (agli spettatori) e convince (i vertici Rai). Ma, come cantavano Morandi, Tozzi e Ruggeri, si può dare di più. La nostra analisi.
Il paradiso delle signore: fenomenologia di un successo pop
Due stagioni da 20 episodi in prime time e poi – bum! - il cambio di marcia con il passaggio al formato soap in fascia pomeridiana, con un cast interamente rinnovato. Un azzardo che ha pagato: la Rai sperava di ottenere il 7% di share, si è ritrovata quasi con il doppio. I motivi di questo successo? Beh, innanzitutto si tratta di una soap rassicurante: vive di ripetizioni come Beautiful ma senza incesti, in un’ambientazione dalle tinte pastello che profuma di buono. C’è poi l’effetto amarcord. Non neghiamo che buona parte delle persone incollate ogni giorno allo schermo abbiano una certa età, ma la nostalgia di epoche mai vissute è un fattore importante. In fondo, la serie racconta pur sempre i sogni di un’Italia che si sta lasciando alle spalle la guerra. Infine, che paradiso delle signore sarebbe senza qualche belloccio? La serie ha (o ha avuto) tra i protagonisti Giuseppe Zeno, nei panni del misterioso proprietario del grande magazzino, l’ex gieffino Alessandro Tersigni in quelli di un consulente pubblicitario e l’immarcescibile Roberto Farnesi, credibilissimo come villain. A proposito di cast, c’è chi non resiste a spulciare tra le anticipazioni de Il Paradiso delle signore. Eccone una: Alessia Debandi aka Angela è stata fatta fuori dalla serie e questo lascerà più spazio al fratello di fiction Marcello, interpretato da Pietro Masotti. Mors tua, vita mea. Come detto, lo share della soap si aggira attorno al 12%, ma non c’è bisogno di fiondarsi per forza davanti alla tv alle 15:55: anche se a quell’ora il pisolino post-prandiale dovrebbe essere finito, si può sempre assistere a Il Paradiso delle signore su RaiPlay.
Partiamo dal principio: c’era una volta la Standa
Il punto di riferimento per Il Paradiso delle signore è la Standa, catena italiana fondata nel 1931 a Torino dalla famiglia Monzino come “Società anonima Magazzini Standard”. Secondo la leggenda, sette anni dopo un impettito Mussolini, durante una parata a Roma, scorse l’insegna con l’intollerabile anglicismo: non ci doveva andare a comprare i vestiti, ma il limite era stato superato. Impose così il cambio di nome in “Standa”, che per l’occasione diventò anche acronimo di “Società tutti articoli necessari dell’arredamento e abbigliamento”. La Standa come la conoscevamo ha chiuso i battenti nel 2002. Ma è ancora viva nei cuori di tutti noi.
Il modello letterario: Emile Zola
Nanà, Germinale, Therese Raquin, L’ammazzatoio. Pubblicato nel 1883, Al paradiso delle signore non sarà esattamente il capolavoro di Émile Zola, che per chi non lo sapesse è uno dei più importanti scrittori francesi (e non solo) dell’Ottocento. Ma è stato comunque capace di ispirare film e serie televisive. Ispirare, appunto, perché la storia è un po’ diversa da quella della fiction Rai: quella che a prima lettura sembra la storia di Denise, ragazza povera che viene dalla provincia, è in realtà un grosso “J’accuse” nei confronti del nuovo che avanza, rappresentato da un immenso magazzino aperto nel cuore di Parigi, lesto a entrare nel cuore delle donne ma ancor di più a soppiantare le attività dei piccoli artigiani.
Il Paradiso delle signore: perché secondo noi è un’occasione mancata
Le serie storiche sono tali perché, appunto, ambientare in un’altra epoca. Ma ne Il Paradiso delle signore l’Italia del boom non si vede. I costumi sono impeccabili, sullo schermo appaiono spesso le bellissime auto del tempo, per carità, e viene rievocata anche la morte del “Campionissimo” Fausto Coppi. Ma è troppo poco, e così il miracolo italiano rimane sullo sfondo. La confezione non è male, ma alla fine il pacco delude un po’: la sceneggiatura è telefonata, mentre regia, recitazione, fotografia sono esattamente quelle che ci si aspetterebbe da un’innocua fiction Rai. Insomma, bene ma non benissimo.
The Paradise: la versione inglese
Ispirata al romanzo di Zola (e sicuramente più vicina all’originale) è anche la serie tv britannica The Paradise, trasmessa nel biennio 2012-13 dalla BBC, per due stagioni e un totale di 18 episodi.
Ambientata nel 1875, racconta infatti la storia di Denise, arrivata in città in cerca di fortuna dallo zio Edmund, venditore di stoffe la cui attività, però, sta soffrendo l’arrivo della concorrenza. Rappresentata, ça va sans dire, dal Paradise, ovvero il primo grande magazzino inglese. Difficile fare appunti agli inglesi quando decidono di ambientare serie tv in contesti storici, ma questa Downton Abbey di città non ha convinto molto. Discreto risultato, gradevole ma niente di che un po’ troppo edulcorato.
"Las chicas del cable": la serie spagnola di Netflix
A livello tecnico, niente da dire nemmeno a Le ragazze del centralino, disponibile su Netflix e giunta al termine nel 2020, dopo 5 stagioni e 42 episodi. La serie ha come protagoniste quattro donne di diversa estrazione sociale, assunte alla fine degli Anni 20 come operatrici nella Compañía Nacional Telefónica de España: il femminismo c’è e si sente, i costumi sono impeccabili, ma stringi stringi parla più che altro delle vicende sentimentali delle chicas. Contesto non pervenuto o quasi: alcuni fatti storici spuntano qua e là, ma sono trattati in modo davvero blando. Il Centralino delle signore.
Raccontare la Storia: il modello Mad Men
Per le serie storiche il punto di riferimento rimane (e rimarrà per sempre) Mad Men, serie statunitense curatissima nei dettagli in cui a giacche sartoriali, sigarette Lucky Strike e Old Fashioned fanno compagnia importanti eventi storici e cambiamenti sociali: la crisi di Cuba, gli assassinii di Kennedy e Martin Luther King, lo sbarco sulla Luna, etc. Una viaggio nella pubblicità e nella società americana, Mad Men, che fatto insieme a quel marpione di Don Draper si trasforma in esperienza eccezionale. La differenza è abissale. Questione di budget ma non solo. Senza infilare il dito nella piaga della recitazione, perché è già abbastanza così.
La meglio gioventù e le volte in cui c’eravamo quasi (accidenti!)
C’è da dire che l’Italia non ha sempre solo svolto il compitino con la fiction storica. La meglio gioventù, che si dipana dal 1966 al 2003 raccontando la storia di una famiglia romana, i Carati, è infatti un gran bel prodotto. E come dimenticare Romanzo Criminale, nel senso di film e serie, entrambi ispirati ai crimini della banda della Magliana? Solo applausi per il Libano, gli altri e chi ce l’ha messi. Poteva essere invece occasione per alzare l’asticella Made in Italy, racconto della nascita della moda prêt-à-porter nella frizzante Milano degli Anni ‘70. E invece l’asticella è rimasta lì, zavorrata da dialoghi piatti, stereotipi, espedienti narrativi improbabili e tanta banalità. Dal Paradiso (delle signore) alla versione nostrana de Il Diavolo veste Prada, di cui non sentivamo il bisogno.