Matteo, Daniela e Alberto hanno iniziato con l'idea di rendere il primo contatto della pelle con il tessuto genuino, innovativo e naturale. Dopo tre anni la loro casa ha iniziato a ospitare progetti più grandi
Matteo, Daniela e Alberto hanno iniziato con l'idea di rendere il primo contatto della pelle con il tessuto genuino, innovativo e naturale. Dopo tre anni la loro casa ha iniziato a ospitare progetti più grandiAl contrario di ciò che può sembrare, CasaGin non è il nome di un locale trendy dedicato alla mixology. È un brand di abbigliamento intimo sostenibile interamente fatto tra le province di Padova, Vicenza, Venezia e Treviso. A pensarlo e a volerlo fortemente sono stati Daniela Prandin, Matteo Donolato e Alberto Massacesi. «Il nome è nato dalla sensazione che volevamo trasmettere attraverso i nostri prodotti: il sentirsi a casa – spiega Daniela – L'intimo è il primo indumento a contatto con la pelle: volevamo che trasferisse l'idea di casa. Gin è l'acronimo di genuino, innovativo, naturale, i nostri tre principi guida».
CasaGin, primi passi e sinergie col territorio
Dal 2017 hanno iniziato a creare qualcosa «che facesse bene alle persone e all'ambiente, fatto in maniera etica e sostenibile, che significa anche fare sinergia con il territorio, lavorando con aziende locali», spiega Daniela, responsabile della ricerca e sviluppo del prodotto. Dopo aver scelto di produrre intimo, le indagini si sono spostate sui filati e i tessuti. Da Piove di Sacco, in provincia di Padova, CasaGin ha incontrato filati rispettosi dell'ambiente. Li ha portati in Italia e li ha trasformati nella prima casa per la nostra pelle.
Il team comprende è composto da tre fondatori: Matteo Donolato, responsabile marketing, Daniela Prandin, responsabile della ricerca e sviluppo di prodotto; Alberto Massacesi, responsabile del sito e della pubblicazione dei contenuti. CasaGin è supportato anche da una rete di professionisti che offrono supporto a progetto. Tutti insieme si concentrano sulla lavorazione di Tencel, rivoluzionarie fibre prodotta dall'azienda austriaca Lenzing. La caratteristica principale di questa fibra è la sostenibilità del processo produttivo, che parte dalla polpa di legno di eucalipto. A tesserlo, ci pensa un'azienda in Friuli. Inoltre, per i costumi da bagno CasaGin ha scelto il nylon rigenerato di Econyl.
Moda etica: formare e informare per cambiare
«Ci piace pensare che, grazie all'intimo CasaGin, stiamo trasmettendo un pensiero, un modo diverso di pensare alla moda, al consumo e all'utilizzo delle risorse. Nel nostro sito c'è anche un blog, dove ogni settimana pubblichiamo articoli in cui raccontiamo cos'è per noi la sostenibilità, o dover raccontiamo tessuti nuovi e pellami sostenibili», spiega Daniela.
CasaGin significa anche genuino, innovativo, naturale. Ma non solo. «Siamo un brand che punta alla trasparenza, all'eticità della produzione e all'essere eco-friendly, sostenibili. Tutte le nostre scelte, dal packaging ai fornitori, passano da questo. Stiamo attenti a questi fattori perché vogliamo essere sicuri che ciò che raccontiamo al cliente finale, sia stato testato direttamente da noi».
La genesi di un capo etico
C'è la diffusa credenza – supportata da molte creazioni legate al mondo della moda sostenibile – secondo cui un capo etico finisce sempre per essere “brutto”. Nello speciale dedicato a questo segmento in crescita del mondo della moda, abbiamo visto che i designer stanno investendo molto per rendere più “sexy” le proprie creazioni eco-friendly. La chiave di volta per rendere un capo davvero sostenibile è renderlo eterno, non solo nella sua fibra, ma anche nella sua forma. Per questo si abbandonano orpelli che “invecchierebbero” l'abito o la borsa, in favore della funzionalità e durevolezza.
«I capi CasaGin partono dall'idea di look e vestibilità che si vogliono creare. Facciamo ricerca sui dettagli, sulle modellistiche che ci interessano di più e, in base ai risultati, creiamo un primo modello. Essendo l'intimo, le linee sono legate alla vestibilità. Per questo lavoriamo con laboratori specializzati in questo tipo di prodotto, che sanno quando eliminare una cucitura, come rendere uno slip avvolgente ma senza stringere. Siamo molto a stretto contatto con chi ci confeziona i capi. Vogliamo che il capo sia confortevole e intelligente».
Il design dei capi CasaGin è classico: «Non vogliamo un contenuto moda da cambiare dopo sei mesi». Il che spiega le linee di slip, canottiere e abbigliamento da casa senza fronzoli, essenziali e avvolgenti. Ma c'è anche una linea pensata proprio per chi è in cerca di pizzi e merletti (rigorosamente rigenerati). La difficoltà nel creare design più sexy sta proprio nella difficoltà di trovare tessuti sostenibili che permettano di creare gli strumenti per il gioco della seduzione dell'intimo. «Alle volte il problema è anche il colore: ne avevamo trovato uno solo bianco e le nostre clienti ce lo chiedevano nero». C'è una prateria di opportunità per chi sceglierà di investire nelle fibre rigenerate, pizzo in testa.
Prezzo, come aggirare l'ostacolo
Intanto, la classica canotta, la bralette (un reggiseno decostruito) e lo slip vanno alla grande. I prezzi si aggirano attorno ai 20 euro. E non contate sui saldi: CasaGin non ne fa per principio. «Svilirebbero il lavoro di tutti noi». Il costo dei capi di moda etica è ancora il principale ostacolo al successo di questi brand. Ma è inevitabile. «Abbiamo deciso di utilizzare tessuti certificati, confezionati in Italia, per offrire un prodotto a un prezzo medio e accessibile a una gran fetta della popolazione. C'è anche chi produce in Turchia e Portogallo, vendendo a prezzi doppi rispetto al nostro, a parità di tessuto. È una politica diversa dalla nostra. Vogliamo avvicinare le persone al mondo della moda etica, togliendo una parte di margine a noi e ai negozi che scelgono di rivenderci».
Produrre capi etici costa. In primo luogo, un brand operativo in questo settore non compra mai km di tessuto. Questo non permette di fare economia di scala sulla materia prima. Inoltre, il costo dei tessuti riciclati e rigenerati è ancora oggi doppio rispetto alle fibre vergini. Le caratteristiche sono simili e se fossero utilizzati da tutte le aziende di moda, l'impatto sull'ambiente sarebbe enorme. In più, se la confezione rimane in Italia, ci sono costi di produzione più alti, legati agli stipendi dei lavoratori. Poi ci sono le alte barriere del fisco italiano. Chi fa moda etica deve sfidare molti giganti.
Ma convincere i consumatori a comprare meno ma meglio è possibile. «Credo che la formazione, il far conoscere le realtà operanti in questo settore e far capire alle persone cosa sta dietro ogni singolo prodotto, sia la chiave per il successo della moda sostenibile. Non significa far vedere le persone che lo confezionano, ma anche cosa c'è dentro un capo di abbigliamento, come viene confezionato. È difficile rendersene conto quando si guarda una maglietta su una gruccia. Si può acquistare un po' meno e fare investimenti un po' più onerosi. Noi puntiamo su un consumo critico. Parlando vogliamo far evolvere il cliente».
Le sfide della moda sostenibile
Ma oltre il prezzo, la moda sostenibile deve abbattere altri ostacoli. Primo fra tutti, la concorrenza sleale. I marchi di fast fashion stanno immettendo sul mercato linee di prodotti conscious, senza cambiare di una virgola la produzione mainstream. «Sto notando tantissime aziende che si stanno affacciando in questa nicchia di mercato per una questione di trend, perché se ne parla tanto e perché il business c'è. Non vorrei però che diventasse solo questo, una questione di affari. Vorrei che fosse un cambiamento vero, delle persone e delle aziende, sentito a favore del futuro nostro e dei nostri figli. Mi auguro che ci sia un'evoluzione genuina e trasparente, senza calpestare chi vi ha puntato per prima, in una sana competizione».
Un altro grande problema di tutto il comparto moda è lo smaltimento dei vestiti. Secondo i dati del rapporto Ispra 2019 sui rifiuti urbani, quelli di abbigliamento ammontano a circa 49 mila tonnellate. Sono principalmente avviati verso la Tunisia. «La nostra futura linea di abbigliamento sportivo biodegradabile è una delle risposte a questo problema».
Il futuro di CasaGin
C'è un progetto che entusiasma Daniela e tutto il team di CasaGin: una linea di abbigliamento sportivo tecnico, realizzato in laboratorio. La materia prima? Un tessuto biodegradabile creato da un'azienda italiana. «Alla base di questi capi c'è il nylon creato con particelle che lo rendono biodegradabile. Finito il suo utilizzo, si decompone nel giro di tre anni. Si può buttare nel secco e, quando viene interrato, in assenza di ossigeno il tessuto si decompone. Vogliamo lanciarlo con una piattaforma di crowdfunding». Verranno utilizzati anche poliestere riciclato e poliammide riciclato. Verrà a breve lanciata una linea di t-shirt in cotone organico GOTS.
I capi di CasaGin sono disponibili in alcuni punti vendita selezionati, specializzati in prodotti biologici, zero waste, alcune farmacie ed erboristerie. Ma si può anche acquistare online, cosa che ha permesso al team di continuare a lavorare anche durante l'emergenza Coronavirus. «Mentre i laboratori si sono riconvertiti alla produzione di mascherine, noi abbiamo venduto di più, specialmente intimo e abbigliamento da casa». I clienti di CasaGin sono in tutta Italia, da Milano a Roma, passando per Modena, Palermo e Cagliari. La rivoluzione etica inizia dalla nostra pelle.