Ha saputo trasformare il suo corpo in un messaggio forte di erotismo, di coraggio, di ispirazione: abbiamo parlato di disabilità con Valentina Tomirotti, blogger e giornalista.
Ha saputo trasformare il suo corpo in un messaggio forte di erotismo, di coraggio, di ispirazione: abbiamo parlato di disabilità con Valentina Tomirotti, blogger e giornalista.Guardando Valentina Tomirotti si vede molto di più di una donna in carrozzina. Ha 36 anni e vive a Mantova, dove fa la giornalista. È nata con una rara malattia genetica caratterizzata da un difetto dell'accrescimento della cartilagine, la displasia diastrofica. È in carrozzina dalla nascita, ma questo non le ha impedito di prendersi tante soddisfazioni e di vincere, fra le altre cose, il premio Female Advertising Award per il progetto Boudoir Disability.
Attaccata dai bulli in rete, non si è fatta minimamente intimorire ed è andata dritta per la sua strada, fino a calcare innumerevoli palchi – tra cui quello di Nove Muse – dove tiene i suoi speech ispiranti. Nel 2018, dopo tanti anni passati in macchina di altri a farsi accompagnare in giro per l'Italia, ha conquistato la patente di guida, aggiungendo altre quattro ruote a quelle della sua sedia a rotelle.
Coraggio, tanta tanta ironia, intraprendenza e capacità di guardare in faccia le cose e dar loro un nome: per il Vocabolario delle Celebrità ecco la definizione di disabilità secondo Valentina Tomirotti.
Cos'è per te la disabilità?
Non credo esista una definizione “di pancia” per esporre fino in fondo cosa rappresenta essere disabili. È come l’etichetta di un abito che viene indossato da persone diverse ed esprime emozioni diverse.
Per me la disabilità è una cucitura storta di questo abito, a volte tira, a volte diventa un pregio, dipende dalla giornata, sicuramente è un gioco di limiti effettivi e che ci creiamo di conseguenza.
Il primo ricordo della disabilità
Da bambina quando ho iniziato ad avere la percezione di essere diversa dagli altri miei coetanei, per evitare che mi facessero domande scomode (per me) mi trasformavo nel giullare di corte, li facevo ridere, spostavo la loro attenzione su qualcosa di positivo così si concentravano su altro che non fosse ciò che mi mancava rispetto a loro.
Foto: Facebook Valentina Tomirotti
Cos'è per te la disabilità oggi?
Oggi, che sono donna, la disabilità rappresenta uno stile di vita, un perno attorno al quale ho imbastito una sopravvivenza degna della persona che sono, dove gioco ancora con i limiti cercando di scavalcarli in qualche modo e lanciare la moneta sempre più lontano.
Della disabilità vissuta in fase adulta mi spaventa la parola futuro, noia, solitudine. Ecco perché è una battaglia quotidiana, non tanto contro qualcosa di fisico, ma contro qualcosa che fa male alla pancia.
Quando pensa a "disabilità" qual è la parola o l'aggettivo che associ nella tua mente?
Etereogeneo, un miscuglio che difficilmente si amalgama, dove è ben chiaro il grado di separazione, ma dove può convivere senza bisogno di trasformarsi. Per me la distinzione non ha sempre accezione negativa, la diversità spesso è un punto di forza per distinguersi.
Hai posato in lingerie, sei stata chiamata sul palco di Nove muse per ispirare una platea di persone in cerca di nuove idee, hai recentemente conquistato la possibilità di guidare da sola: la disabilità sembra relegata sullo sfondo. Come si arriva a tutto questo?
Si impara a camminare senza saper camminare, almeno non come sanno fare tutti. Si punta su ciò che funziona e lo si allena per raccoglierne i frutti. Dalla mia ho questa continua voglia di autonomia, di migliorarmi, di andare avanti e di non annoiarmi, tutto questo mix mi funge da benzina. Qualche giorno vado avanti, altri giorni rimango ferma, non ho ancora la formula chimica per non fallire mai.
Secondo te qual è oggi il rapporto mediatico con la disabilità?
I media sanno sfruttare la disabilità ma sono impreparati ad accoglierla come una sfumatura della normalità. Tendono a ghettizzare, a trattarla con le pinze sbagliate, a trattarla da analfabeti, a comunicarla solo sotto l’aspetto sanitario, di pena o di valorizzarla solo nel mondo paralimpico. Non dovremmo essere dei casi motivazionali, ma solo delle persone con qualcosa da raccontare.
Cosa potrebbe insegnare la disabilità al mondo contemporaneo?
Non credo che la disabilità sia sinonimo di “cattedra”, può dare una visione ulteriore del mondo, gli insegnamenti derivano dai fatti di chiunque. Non voglio mai che disabilità sia l'equivalente di eroe, non è giusto per entrambi le parti. La disabilità è parte del mondo contemporaneo, della società, non un mondo a parte.