È un precetto del Corano che in Italia può rendere le donne vittime di discriminazione. Ma anche un capo di abbigliamento decisamente fashion. Ecco cos’è il velo per la vice presidente dell’Unione delle Comunità Islamiche d’Italia.
È un precetto del Corano che in Italia può rendere le donne vittime di discriminazione. Ma anche un capo di abbigliamento decisamente fashion. Ecco cos’è il velo per la vice presidente dell’Unione delle Comunità Islamiche d’Italia.Donna e Islam, per molti, è sinonimo di velo. In un certo senso è così, ma non necessariamente, perché il Corano non prevede alcuna imposizione e dà a ognuno la libertà di applicare o meno i suoi precetti. A spiegarlo a DeAbyDay per il Vocabolario delle celebrità è la 27enne Nadia Bouzekri, nata nel nostro Paese da genitori marocchini, giovane donna in carriera e attualmente vice presidente dell’Unione delle Comunità Islamiche d’Italia.
La tua definizione di velo. Cos’è per te?
Il velo che indosso è l’hijab, un foulard che copre i capelli e il collo della donna, lasciando scoperto il viso. È un precetto del Corano che le donne musulmane possono scegliere di seguire una volta raggiunta la libertà, insieme a una serie di comportamenti. Il velo non è solo un copricapo, ma qualcosa che parte dall’interno. È la fine di un percorso che ognuna fa nella sua vita. Poi, ci mancherebbe, una donna può essere considerata tranquillamente musulmana anche se non indossa il velo.
Quando pensi al velo qual è la parola o l'aggettivo che ti viene in mente?
Colorato. Quando lo indosso cerco di abbinarlo in base al resto dell’abbigliamento, dunque i suoi colori sono fondamentali. C’è un’altra parola che mi viene in mente: libertà, come quella che mi sono concessa a 16 anni quando ho scelto di iniziare a indossarlo. Una parola non scontata al giorno d’oggi, con le donne spesso vincolate alle regole della società e agli uomini.
Il velo va indossato anche in casa?
No, il velo non si indossa nel contesto familiare, perché è un indumento che le donne portano all’esterno.
Pure al mare?
C’è chi lo fa, ma quello con il bikini è un accostamento strano, perché non è insito alla religione. Non previsto, insomma, con l’hijab. Per questo, quando vado al mare o in piscina indosso il burqini, che alla fine è una muta da sub.
Le tue amiche portano il velo?
Beh, non tutte, se non altro perché ho tante amiche che non sono musulmane. All’Italia e all’estero, all’università e sul lavoro, non ho mai scelto chi frequentare o meno in base alla religione. E ho anche tanti amici maschi.
Molti italiani vedono nel velo il simbolo della donna musulmana sottomessa.
Niente di più falso. Lo dimostra il fatto che proprio in Italia ci sono donne musulmane attive nella società, che studiano lavorano, utili alla società e alla comunità. Insomma, certo non relegate in casa.
Ius soli sì o no?
Io sono nata qui e ho avuto la cittadinanza a 18 anni. Aspettare la maggiore età vuol dire non poter andare in gita all’estero con la scuola e dover andare ogni cinque anni in questura a rinnovare i documenti. I problemi maggiori riguardano però chi arriva in Italia da piccolo: ho amici che hanno dovuto mollare l’università perché, per avere il permesso di soggiorno, dovevano avere un reddito. Non puoi equiparare un ragazzo cresciuto in Italia a un uomo che magari ci è arrivato a 40 anni. Non è giusto.
Sei mai stata discriminata sul lavoro perché portavi il velo?
Sì, è capitato. Per questo ho due curriculum: uno con foto, l’altro senza. Se voglio inviare una candidatura a una multinazionale, dove magari valuteranno competenze e merito, uso il primo, altrimenti a una piccola azienda mando il secondo. Ho anche amiche che non sono state assunte dopo il rifiuto di togliere il velo. Per fortuna, almeno nelle grandi città come Milano, stiamo superando tutto questo.
Foto: Facebook Nadia Bouzekri