special

Voci sul cambiamento

Lo smart working ai tempi del Coronavirus: intervista a Mariano Corso Guarda il video Lo smart working ai tempi del Coronavirus: intervista a Mariano Corso.
Vivere eco

Lo smart working ai tempi del Coronavirus: intervista a Mariano Corso

Mariano Corso, professore ordinario al Politecnico di Milano, racconta l'importanza ricoperta dallo smart working durante l'emergenza coronavirus.

Distanza sociale, mascherine, quarantene da rispettare: la pandemia ha avuto un impatto molto forte sulle nostre vite e ci ha portati a reinventare completamente l’approccio con la società, avvicinando le nuove e le vecchie generazioni. Social network, videochiamate e poi lo smart working, strumento ritenuto, più di qualsiasi altro, in grado di conciliare le esigenze di produzione delle imprese con quelle di tutela della salute dei lavoratori.

Si è sempre parlato molto di smart working, tra le aziende, tra le Pubbliche Amministrazioni e nel mondo del lavoro in generale e la recente emergenza ha portato alla ribalta, una volta di più, il fenomeno.

Un modo diverso di concepire e organizzare il lavoro, “la filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione dei risultati”, così viene definito dall’Osservatorio Smart Working.

Non vuol dire semplicemente “lavorare da casa”. E allora vale la pena domandarsi se la disciplina messa in atto per fronteggiare l’emergenza equivalga a quella “madre”.

A chiarire bene cosa si intenda per Smart working è Mariano Corso.

Mariano Corso è Professore Ordinario di “Leadership and Innovation” al Politecnico di Milano dove si è Laureato in “Ingegneria delle Tecnologie Industriali ad indirizzo economico organizzativo” ed ha conseguito il PhD in Ingegneria Gestionale. E’ co-fondatore e membro del comitato scientifico degli “Osservatori Digital Innovation” del Politecnico di Milano e responsabile scientifico di diversi Osservatori tra i quali “Agenda Digitale”, “Smart Working”, “HR Innovation Practice”, “Innovazione Digitale in Sanità”, “Cloud Transformation” e “Cybersecurity & Data Protection”. E’ co-fondatore e Presidente di P4I-Partners 4 Innovation, società di advisory del gruppo Digital 360 quotato alla Borsa di Milano. E’ autore o coautore di numerose pubblicazioni scientifiche di cui oltre 140 a livello internazionale.

«Negli ultimi mesi l’emergenza sanitaria ha forzato tantissime organizzazioni a lasciare le persone a lavorare da casa applicando, però, in modo spesso improvvisato lo smart working. Quello che molte persone stanno sperimentando non è il vero smart working quanto piuttosto una situazione forzata di lavoro da remoto in cui non c’è alcuna possibilità di scelta» – questa la prima differenza sottolineata da Mariano Corso.

La mancanza di competenze, l’assenza di volontarietà, di flessibilità e degli strumenti necessari, hanno determinato una serie di criticità: «senso di isolamento, aumento delle ore lavorate, difficoltà a disconnettersi e a mantenere un corretto equilibrio tra vita privata e lavoro».

È evidente che questa ricetta per la produttività non sia stata messa in atto nel modo più corretto, il tutto dovuto anche al fatto che molte imprese hanno dovuto proiettare rapidamente e senza alcuna formazione la loro organizzazione verso nuovi modi di lavorare e collaborare.
Ma i fattori positivi ci sono: «questa esperienza, se ci pensiamo, ha permesso di fare in pochi mesi un percorso di apprendimento e di crescita di consapevolezza che in condizioni normali avrebbe richiesto degli anni»
Per molte imprese le difficoltà non sono mancate, anche perché molte si trovavano nella fase primordiale della digital transformation, ma lo smart working ha sicuramente rappresentato la scialuppa di salvataggio al tempo del Covid-19 e anche i manager più scettici sono riusciti a vedere le grandi potenzialità che si celano dietro al lavoro da remoto.

Una visione proiettata verso il futuro quella di Mariano Corso, il quale si augura che «questo patrimonio di consapevolezza, di crescita e di esperienza non vada disperso, ma che persone, organizzazioni e la società nel suo insieme colga in questa situazione l’opportunità di ripensare, di rivedere modelli di vita e lavoro».

Perchè lo smart working non aiuta solamente ad affrontare un’emergenza sanitaria, ma anche le altre del nostro tempo, come l’inquinamento e il traffico. Ogni giorno milioni di persone si spostano per raggiungere il posto di lavoro e gran parte di questi trasferimenti non avvengono con i mezzi pubblici. Anche un solo giorno a settimana di smart working, sarebbe una valida pratica per contrastare l’inquinamento delle città.