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Storia di una brava ragazza (che potresti essere tu)

Arianna Farinelli firma un memoir che racconta le nostre “solite cose da donne”, con un obiettivo: spezzare la catena e riprenderci noi stesse

Arianna Farinelli firma un memoir che racconta le nostre “solite cose da donne”, con un obiettivo: spezzare la catena e riprenderci noi stesse

Sono inciampata in Storia di una brava ragazza come succede quando si prende un caffè in un bar e si ascolta di nascosto il racconto di una vita che potrebbe essere tranquillamente la tua. Certo, Arianna Farinelli è nata a Roma e la periferia della Capitale è cosa ben diversa da un paesone della provincia di Bari in cui sì, ti senti alla periferia dell'impero, ma di fatto, nella maggior parte dei casi vivi una vita molto più tranquilla di quella di chi ha il balconcino affacciato sulla Prenestina.

Parlando al telefono con questa donna incredibile, che conserva nella voce lo stupore di chi ancora sembra scusarsi per tutto quello che è diventata, sentivo quasi di poterle raccontare della fatica del farsi degli amici alle superiori o del togliersi di dosso l'accento pugliese negli anni dell'università da fuori sede. Come Arianna racconta nel suo memoir pubblicato da Einaudi, anche la mia vita è stata illuminata dall'esempio di donne imprenditrici, che hanno mantenuto famiglie – le proprie e, in alcuni casi, quelle delle nipoti – a dispetto di uomini inadatti.

Storia di una brava ragazza è un libro che andrebbe assegnato come lettura alla nascita perché, prima di tutto, ti insegna come impugnare la bussola quando ti senti persa, e a ritrovare la strada verso casa, cioè noi stesse.

Storia di una brava ragazza

Arianna Farinelli, brava ragazza

Classe 1975, Arianna Farinelli è una politologa che oggi vive negli Stati Uniti. Ha vissuto gli anni più ardui per il corpo delle donne: quelli della mercificazione attraverso programmi televisivi come Colpo Grosso. Anni in cui, fino al 1996, lo stupro era considerato un reato contro la morale e non contro la persona. Si sposa con un americano benestante, sacrificando la sua brillante carriera all'altare del matrimonio e dei figli. Improvvisamente si ritrova a fare la vita delle donne a cui aveva giurato non avrebbe mai somigliato, pur sedendo in un comodo appartamento di Manhattan. Come a dimostrare che i pregiudizi di genere, il sessismo e il patriarcato non hanno passaporto e se ne fregano di latitudini e longitudini. «Stavo attraversando una crisi personale e professionale. Mi sono chiesta: qual è il mio valore se la mia vita professionale e personale va in pezzi? – racconta – Non capivo che direzione prendere. Un amico mi ha suggerito di scrivere la mia storia che, forse per caso o per sfortuna, alla fine è la storia di tutte le donne».

Arianna Farinelli ph. Margherita Mirabella

Il carico mentale

L'immagine con cui si apre il libro mette il dito in una ferita aperta per molte donne che, ancora oggi, si ritrovano a fare i conti con maternità difficili da gestire. Due figli (ma un figlio solo, eh), il lavoro, la casa, il partner persino. Il carico mentale sembra impossibile da sopportare. Eppure, le stesse che ci sono già passate guardano quelle in mezzo al guado con accondiscendenza e dicono «Ce la puoi fare». E quando no, non ce la fai, quella frase ti fa sentire solo più in colpa, insufficiente, poco attrezzata.

«La verità è che loro ce l'hanno fatta in mezzo a tantissima frustrazione, rabbia e solitudine. La cosa importante oggi è non permettere che la storia si ripeta e le nuove generazioni sembrano offrire della speranza». Il carico familiare non può essere scaricato su un solo genitore, ma c'è bisogno di un discorso a monte nella coppia, altrimenti si resta ancora fermi al lodare i pochi padri che fanno qualcosa quasi fosse un miracolo. Il problema è che pensiamo che il cammino dei maschi verso questa consapevolezza sia iniziato, mentre in molti casi si tratta solo di pallido parenting washing. Una truffa, insomma.

Il corpo delle donne

Storia di una brava ragazza mette al centro non solo le nostre menti devastate, ma anche il corpo della donna. Un discorso che appare quasi anacronistico se rapportato all'era dematerializzata che stiamo vivendo. In passato tabù, oggi i corpi sono ovunque. «È tutto sul telefono e quel che è peggio è la possibilità di manipolarli. I corpi sono oggetto di filtri: le gambe possono diventare lunghissime, gli occhi si trasformano in quelli di un cerbiatto... Noi non potevamo sfuggire ai nostri corpi, ma oggi le ragazzine possono agire le immagini impedendo di vedersi belle». Insomma, quasi un "si stava meglio quando si stava peggio". Ma la verità è che, ancora una volta, pensavamo di esserci evolute, invece ci manipoliamo – mente e corpi – per compiacere chissà chi in base a standard creati da altri.

Un nuovo femminismo

Le donne contemporanee sono in difficoltà con le etichette. Il femminismo sembra un oggetto difficile da manovrare, tanto da scatenare risposte nichiliste come quelle agite dalle femcel. «Eppure, gli strumenti di lotta per scardinare la cultura patriarcale sono gli stessi. Chiedere la parità salariale, che non esiste né in Italia né negli Stati Uniti, è un dovere. Kennedy e Obama hanno fatto due leggi in merito, ma senza ottenere alcun risultato. Possiamo provare ad arrivarci con l'arte e la conoscenza. Per questo ho scritto questo memoir, per cercare di spiegare le dinamiche nei rapporti di genere e provare a scardinare tutto all'origine, sin dal modo in cui cresciamo i nostri figli».

Noi della Generazione X ci siamo illuse sulla parità di genere, ma c’è ancora tanto da fare. «Abbiamo creduto che le grandi battaglie erano quelle degli anni Settanta: l’aborto, il divorzio. Negli Ottanta e Novanta abbiamo creduto – perché la società ce lo ha fatto credere – che la parità fosse stata raggiunta. Ma i fatti lo smentivano. I professori dicevano che le ragazze erano meno intelligenti. Degli abusi subiti abbiamo taciuto. Quando ci siamo fatte forza e abbiamo condiviso certe storie, abbiamo scoperto che ognuna aveva una vergogna da nascondere. Oggi, che l’aborto negli Stati Uniti non è più un diritto garantito, dobbiamo ricordare che la libertà si può sempre perdere».

Al termine di questa chiacchierata con Arianna Farinelli, come se fossimo io e lei quelle donne al tavolino di un bar, a raccontarsi tante grandi miserie e fasulle nobiltà, mi sono chiesta perché. Perché noi, che siamo donne consapevoli di cosa sia la violenza di genere, del nostro valore e siamo padrone dei mezzi per essere indipendenti, ci facciamo ancora “incastrare”. Perché finiamo magari in matrimoni mai voluti per davvero o figli fatti per volere di altri? Insomma: cos’è che ci frega?

«Abbiamo studiato e a livello teorico capivamo le questioni di genere, ma al momento di metterle in pratica, non ci siamo riuscite. C’è uno scollamento tra quello che sappiamo e quello che viviamo perché abbiamo introiettato la cultura patriarcale. Le mie nonne avevano un modo di relazionarsi molto diverso alla libertà. Loro, il femminismo lo praticavano lavorando, senza aver studiato». Nel libro sono i personaggi più belli, quelli che vivono il riscatto di vite amare e violente, indossando una corazza inespugnabile.

Ma, molto più importante, è bene tenere a mente una cosa. Anche quando funzionano, la maternità e il matrimonio non sono la realizzazione completa di una donna. «L’amore romantico è solo una possibilità. Ci sono tante forme di amore, anche più durature come l’amicizia, che possono completare davvero l’esistenza di una persona». E forse è proprio questo il punto da cui ripartire: non pensare all’Amore, ma agli amori, ai tanti amori che completandoci, ci possono rendere libere senza immolare noi stesse su nessun tipo di altare.

Foto di apertura: Josh Hild su Unsplash