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Parità di genere: l'Italia non se la passa bene (soprattutto sul lavoro)

I dati emersi dal Rapporto sullo stato dei diritti in Italia redatto dall'organizzazione "A buon diritto" mettono in evidenza un divario ancora profondo, che richiederà 29 anni per essere sanato

I dati emersi dal Rapporto sullo stato dei diritti in Italia redatto dall'organizzazione "A buon diritto" mettono in evidenza un divario ancora profondo, che richiederà 29 anni per essere sanato

La parità di genere in Italia ancora non c'è. Lo denunciano i dati dell'ultimo Rapporto sullo stato dei diritti in Italia presentato dall'organizzazione "A buon diritto". Stando alle ultime evidenze, occorreranno ancora 29 anni per colmare un divario profondo, che costa ancora tanto alle donne del Belpaese.

Occupazione femminile: una fotografia

Le donne occupate oggi in Italia sono circa 9,5 milioni. Gli uomini sono 13 milioni. Tuttavia, le differenze tra i lavoratori e le lavoratrici sopravvivono e sono importanti. Ancora oggi sussistono divari salariali. Infatti, ogni anno le donne guadagnano circa 7.922 euro in meno rispetto ai colleghi maschi. Un'ulteriore spaccatura è scritta nella geografia italiana. Infatti, sopravvivono ampie disparità tra il numero di donne impiegate nelle aziende del Nord rispetto a quelle del Sud. Qui in molte scelgono lavori part time o abbandonano le proprie mansioni fuori casa per poter essere "più efficienti" nella cura della famiglia.

Ancora oggi una donna su cinque lascia il mercato del lavoro in seguito all'arrivo di un figlio, identificando nella maternità un persistente ostacolo al percorso professionale femminile. In più, la maternità è ancora associata a una perdita salariale notevole e a minori opportunità di carriera.

Cosa fanno le istituzioni per colmare il divario?

Ma la situazione si fa ancora più critica quando l'Italia si rapporta all'Europa. Nel rapporto si legge che “sia il Global Gender Gap Report del 2023 del World Economic Forum che l’ultimo Indice europeo di parità, rilasciato ad ottobre 2023 dall'Agenzia europea per l’uguaglianza di genere (EIGE), riportano che, mentre l’Europa si attesta il miglior punteggio tra le regioni del mondo per il suo livello di parità di genere, registrando il miglior dato di sempre, l'Italia si mantiene al di sotto della media europea e sotto tutti i paesi europei del G7 e del G20. In particolare, nel rapporto EIGE, l'Italia si conferma, ininterrottamente dal 2010, all'ultimo posto nel settore occupazionale a livello europeo, per il tasso di partecipazione e segregazione del mercato del lavoro e per la qualità del lavoro delle donne”.

Nonostante gli incentivi alle assunzioni femminili e il recente esonero contributivo per le madri con tre o più figli introdotto dalla Legge di Bilancio 2024, il rapporto mette in evidenza la mancanza di supporto al raggiungimento della parità di genere. Servirebbero politiche di conciliazione tra lavoro e famiglia, con un boost culturale rispetto alla modellazione di figure maschili maggiormente collaborative. Anche perché il ruolo di cura rivestito dalle donne si estende alla prole, ma spesso anche agli anziani. Ma la vera piaga è costituita dall'assenza di servizi pubblici, asili nido e politiche di sostegno alle scelte riproduttive.

Perché, dunque, una donna dovrebbe scegliere di "condannarsi" all'esilio professionale? L'istinto materno è una bella favola che non fa più presa su nessuno, così come il richiamo ad alimentare la cosiddetta famiglia tradizionale tanto caro alla narrazione del governo Meloni. Servono politiche che si trasformino in azioni con ricadute concrete sulle vite delle donne.

Il tetto di cristallo

Ma la parità di genere è un argomento caldo anche per le donne che non hanno figli. Coloro che scelgono di non procreare solo a loro volta sotto i riflettori, criticate per aver scelto uno stile di vita egoistico. Se in coppia, vengono etichettate come Dink. In più, vengono ancora messe alla prova da ritmi di lavoro insostenibili anche per colleghi maschi solo per dimostrare di meritare la propria posizione. Faticano ancora ad arrivare a posizioni apicali. C’è chi fa “gender washing” e sbandiera le proprie politiche aziendali di inclusione.

Ci sono i fondi del PNRR che dovrebbero spingere le imprese a intraprendere strade diverse. Ma la rivoluzione che accelera il percorso verso la parità di genere resta sempre, prima di tutto, culturale. È tempo di osservare madri, mogli, compagne e figlie e di dare uguale valore alle loro esistenze.

Immagine di apertura: Freepik