L'esperto di affettività e sessualità nella persona disabile risponde a Maximiliano Ulivieri di LoveGiver, raccontando il vero ostacolo tra la disabilità e la realizzazione di una relazione amorosa.
L'esperto di affettività e sessualità nella persona disabile risponde a Maximiliano Ulivieri di LoveGiver, raccontando il vero ostacolo tra la disabilità e la realizzazione di una relazione amorosa.«Qui il punto focale non è solo la mia disabilità. Io voglio vivere, tutto: le delusioni, e i “no…” . È una lotta che facciamo tutti». Non c'è distinzione in amore tra disabili e non. Secondo Tonino Urgesi, esperto di affettività e sessualità nella persona disabile, il vero limite in amore per le persone disabili è la cultura.
Che manca, stenta, sembra morta, come l'umanità. Contrariamente a quello che afferma Maximiliano Ulivieri, creatore di LoveGiver, Urgesi non è convinto che un operatore possa insegnare a qualcuno - «e poi, perché soprattutto solo a un disabile» - a creare una relazione, a gestire la sessualità.
Disabili e sessualità: intervista a Tonino Urgesi
Tonino Urgesi ha un'altra idea di sessualità e una strategia per permettere a tutti – disabili e non – di apprezzarla davvero.
Cos'è per lei la disabilità?
La disabilità è solo un contesto culturale e sociale, dove la persona vive. Io non sono un disabile, ma mi rende disabile tutto il contesto in cui vivo: le amicizie, la scuola, e come il mondo presenta la disabilità al bambino. Tra l'altro la scuola non è ancora pronta ad accogliere i bambini disabili: se il bambino deve andare in bagno nell'orario scolastico, chi lo porta? Tutto il contesto in cui la persona ogni giorno vive e deve affrontare gli crea una disabilità nella persona, come la mancanza di insegnanti di sostegno; le barriere architettoniche e culturali. Tutto questo contesto rende disabili.
«Cerco un nuovo pensiero e una nuova pedagogia della disabilità dove il disabile cambia prospettiva di se stesso e si impegna a farsi accettare come persona e non più come disabile»: cosa intende praticamente con questa affermazione?
Intendo due cose. Primo, il disabile deve uscire e incontrare, non deve più vivere nel suo vittimismo. Secondo, la società deve essere pronta a incontrare la persona in carrozzina, l’“altro”. Oggi non lo è, al di là del deficit della disabilità. È la cultura che oggi non guarda più l'umano, l'uomo, ma il guadagno. Se in questa società moderna tu mi fai guadagnare, vali. Se tu non mi fai guadagnare, non vali. Friedrich Nietzsche diceva che Dio è morto: e io oggi arrivo a dire che tutta l'umanità è morta.
Secondo lei la sessualità è un diritto?
Io ho diritto a lavorare, a vivere, ho diritto alla scuola e a tutti i diritti dell’“uomo". Ma se io vado da una donna e le dico: “Mi fai fare l'amore?”... secondo lei questo è un diritto? Ovviamente no! Infatti a questo punto occorre fare una distinzione enorme tra sesso e sessualità: il sesso è solo una funzione meccanica, idraulica, invece la sessualità include tutta una relazione, io e l'altro, in cui l’“altro” non è solamente oggetto.
Cosa significa esattamente?
L'altro è qualcosa che fa parte ancora di me, o meglio del mio “io”. Voglio dire, tornando alla sua prima domanda, se io incontro e anche l'altro mi incontra, allora c'è una relazione e quindi c’è sessualità.
Cosa è per lei la sessualità?
La sessualità è uno sguardo, è toccarsi, telefonarsi, cercarsi, è una coccola. È andare al cinema e tenersi per mano, è anche il sapersi annoiare insieme. L'apparato più erotico di un essere umano è la pelle: se io ti tocco lentamente la pelle, ti smuovo tutte le tue emozioni, sensazioni che già vivono in te.
Foto: Facebook Tonino Urgesi
A seconda dei diversi contesti, come viene gestita la propria sessualità da un disabile?
È importante fare una grande distinzione iniziale tra disabilità fisica e cognitiva. In quest'ultima abbiamo una sessualità non controllata e non controllabile, anche se comunque c'è e va rispettata. Va gestita educando la persona a vivere i suoi momenti intimi nei suoi luoghi intimi. Non va più riempito solo di psicofarmaci. Quelle pulsioni vanno vissute come si può, e come si riesce. Se c'è un incontro con il disabile cognitivo, si può andare oltre. Se non c'è l'incontro, si può far vivere alla persona disabile il proprio onanismo in modo dignitoso.
Cosa succede in caso di disabilità fisica?
Nel caso della disabilità fisica, la persona disabile deve lottare prima di tutto contro i propri genitori e poi uscire come può, fuori, nella società, per vivere l'incontro con l'altro come chiunque.
Cosa pensa di chi ricorre alle prostitute?
Penso che ognuno di noi vive come può, e mai come vorrebbe veramente, con il proprio bagaglio culturale: è questo che ci fa fare le nostre scelte. Non parlo di valori perché oggi non ci sono più i valori che conoscevamo, perché erano di un tempo e sono legati a quel loro tempo. Invece oggi questa società è alla ricerca dei suoi valori.
In un'intervista ha dichiarato: "Vogliono far passare il messaggio che la sessualità di un disabile non sia più un tabù mentre in realtà lo è molto di più rispetto a trent’anni fa". Cosa significa?
Oggi è più un tabù il sentimento che la persona disabile prova per l’altro. Fa meno paura se una persona disabile ti fa la richiesta di un rapporto sessuale. Fanno ancora più paura i pensieri della persona disabile, fanno più paura i sentimenti di quella persona disabile; perché ti richiamano ai tuoi sentimenti, al tuo saperti coinvolgere in quella “sua storia”, e più delle volte ti ritrovi disarmata.
Nella stessa intervista, due anni fa, contestava la figura dell'assistente sessuale proposta da Maximiliano Ulievieri. Oggi Love Giver parla di operatori, che hanno lo scopo di rieducare i disabili alla sessualità. Cosa ne pensa?
Hanno cambiato il nome degli assistenti proprio dopo quella mia intervista, oggi viene chiamata O.E.A.S., operatori all'emotività, all'affettività e alla sessualità e non più “assistente sessuale”. Allora mi chiedo una volta in più: come possono educare all'emotività? Se devi educare una persona che vive in un contesto di disabilità, dovrai educare anche tutta l'umanità intera all’emotività, all'affettività e alla sessualità. Allora è necessaria un'educazione sessuale per tutti. E poi perché solo la persona disabile andrebbe educata? Perché io sono un disabile, devo essere educato? E poi dove posso trovare questo illustre pedagogista? Ognuno di noi ha la sua affettività, la su emotività, sua sessualità. Piuttosto, io sarei più per una “nuova filosofia”, per un “nuovo pensiero” e “una nuova cultura” della persona disabile, e dell'incontro con me e con l'altro.
È ancora contrario alla figura dell'operatore LoveGiver?
Non è questo il punto. Il punto è un altro: non creiamo disabilità nella disabilità. Se ti chiedo un bicchier d'acqua e tu mi aiuti a cercare il mio bicchier d'acqua, resto ad aspettare che tu mi porti il tuo bicchier d'acqua. Non crei la mia autonomia. Mi chiedo: come funziona l'operatore sessuale? Dopo le sedute cosa accade? E poi? Quella persona disabile come fa, torna nel suo vuoto di sempre? E durante questa seduta cosa succede? I miei istinti e le mie pulsioni dove vanno a finire? Né in un coito, e né in una masturbazione. Se risveglio il vulcano, poi chi lo spegne quel vulcano?
In cosa diverge il suo punto di vista rispetto a quello di Maximiliano Ulivieri?
Max fa bene, per carità. Però io voglio guardare la persona nella sua complessità, non solo nella sua disabilità, e all'uomo che è in quel corpo. Io non cerco l'atto sessuale in sé, ma l'incontro. Ogni persona ha le sue delusioni, il suo percorso di solitudini, e quindi anche la persona che vive in un contesto disabilizzante.
Cosa manca secondo lei alla società per "normalizzare" il concetto di disabilità?
Oggi la società non ha più paura solo del disabile, ma del diverso, del “Non Io”, dell’“altro”. Un marito ha paura della moglie; si ha ancora paura del terrone, del extracomunitario, di tutto quello che non conosco. La domanda che mi faccio ora: la società che ha paura del “Non Io”, sa chi è l’“Io?” … Io credo di no.
Da dove si deve partire?
Stiamo attraversando un periodo di crisi, ma non è solo una crisi economica, piuttosto direi che è una crisi culturale, strutturale. Manca tutta una cultura ed è da qui che si dovrebbe ripartire.