Cresciuta pensando che desiderare fosse “una cosa da maschi”, Giulia Zollino per anni odia il suo corpo e censura il suo desiderio, rassegnandosi a relazioni malsane.
Poi, a 14 anni, va a sbattere contro uno stigma che la accompagnerà per tutta la vita, lo stigma della “putt*na”. Una vacanza al mare, una nuova amica, Tania, gli ormoni a palla, giornate leggere tra gelati, messaggini, pomiciate sugli scogli. Giulia e Tania, impavide teenager, frequentano “ragazzi di proprietà”, appartenenti ad altre, ma finiscono per pagarne lo scotto: una scritta sui muri di casa Giulia e Tania zocc*le. Putt*na. Zocc*la. Una parola, un marchio gratuito che gli uomini attribuiscono con faciloneria alle donne (e le donne alle donne). La put*ana sfida l’assetto culturale del patriarcato che vorrebbe le donne angeli del focolare, oggetti e mai soggetti, prede mai predatrici.
Poi arrivano Bologna, i primi orgasmi, la scoperta di nuove forme di amare e di essere donna, il sesso come terapia, il sesso come strumento per superare i propri limiti. Qui Giulia studia Antropologia e si specializza nell’ambito delle migrazioni internazionali frequentando un master sui Fenomeni Migratori. Il master la porta a fare un tirocinio presso un’unità di strada.
Adesso Giulia lavora online come sex worker, tiene laboratori di educazione sessuale e fa l’operatrice di strada, offrendo supporto e assistenza alle sex worker (non prostitute, non zoccole, non puttane) che lavorano in strada o in casa. Da questo lavoro nasce la divulgazione su Instagram, la decisione di smontare la visione stereotipata e carica di pregiudizi che avvolge il sex work. L’avventura va benissimo, la community cresce in maniera esponenziale (adesso più di 55mila i follower) e Giulia diventa in poco tempo una delle voci più influenti in Italia per parlare di lavoro sessuale.
All’attivo ha un libro, “Sex Work is Work”, compendio dei suoi studi e delle sue esperienze.